
La Cassazione chiude i conti e condanna all’ergastolo ai quattro mafiosi accusati di aver preso parte all’organizzazione della strage di Capaci e di aver reperito l’esplosivo che sventrò l’autostrada di Palermo e uccise Giovanni Falcone insieme a sua moglie e gli agenti di scorta. Sono definitive le condanne al carcere a vita per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello.
La strage di Capaci: cos’è successo?
Trent’anni fa morì Giovanni Falcone nella comunemente detta strage di Capaci, il 23 maggio 1992. Stava tornando da Roma, come era solito fare nei fine settimana. Il jet di servizio, partito dall’aeroporto di Ciampino intorno alle 16.45, arriva a Punta Raisi dopo un viaggio di cinquantatre minuti. Lo attendono quattro autovetture: tre Fiat Croma, gruppo di scorta sotto comando del capo della squadra mobile della Polizia di Stato, Arnaldo La Barbera. Appena sceso dall’aereo, Falcone si sistema alla guida della vettura bianca e, accanto a lui, prende posto la moglie Francesca Morvillo, mentre l’autista giudiziario Giuseppe Costanza occupa il sedile posteriore. Nella Croma marrone c’è alla guida Vito Schifani, con accanto l’agente scelto Antonio Montinaro e, sul retro, Rocco Di Cillo. Nella vettura azzurra ci sono Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. La Croma marrone è in testa al gruppo, segue la Croma bianca, guidata da Falcone e, in coda, la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisano i sicari che hanno già sistemato l’esplosivo per la strage, della partenza delle automobili.

Le auto lasciano l’aeroporto imboccando l’autostrada in direzione Palermo. La situazione appare tranquilla, tanto che non vengono attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina si affianca agli spostamenti delle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; sono gli ultimi secondi prima della strage. Otto minuti dopo, alle ore 17.58, presso il chilometro 5 della A29, una carica di cinque quintali di tritolo, posizionata in un tunnel scavato sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, viene azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, preme il pulsante in ritardo, sicché l’esplosione investe in pieno solo La Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, sin su un piano di alberi; i tre agenti di scorta muoiono sul colpo. La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, si schianta invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossano le cinture di sicurezza, vengono proiettati violentemente contro il parabrezza. Falcone, che riporta ferite solo in apparenza non gravi, muore dopo il trasporto in ospedale a causa di emorragie interne. Rimangono feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, e si salvano miracolosamente anche un’altra ventina di persone che al momento dell’attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell’eccidio.
La detonazione provoca un’esplosione immane e una voragine enorme sulla strada. In un clima irreale, e di iniziale disorientamento, altri automobilisti e abitanti dalle villette vicine danno l’allarme alle autorità e prestano i primi soccorsi tra la strada sventrata e una coltre di polvere.
30 anni dopo gli aggiornamenti della strage: condanne in carcere a vita ed il caso Tutino
Dopo trent’anni dall’avvenuto, la Cassazione chiude i conti e condanna all’ergastolo i quattro mafiosi accusati di aver preso parte all’organizzazione della strage e di aver reperito l’esplosivo che sventrò l’autostrada per Palermo e inaugurò la stagione stragista ed eversiva di Cosa Nostra. Sono definitive le condanne al carcere a vita per Salvatore Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro e Lorenzo Tinnirello.
E’ definitiva anche l’assoluzione di Vittorio Tutino, infatti i supremi giudici hanno respinto tutti i ricorsi delle difese, come chiesto anche dalla Procura della Cassazione rappresentata dalla Pg Delia Cardia, che ha sottolineato lo stretto coordinamento con il Procuratore generale Giovanni Salvi nel definire la requisitoria. Non tornerà quindi sotto processo Vittorio Tutino, il “soldato di mafia”, così lo ha definito Cardia, uscito sempre prosciolto dal processo nonostante del suo “attivismo” nella stagione delle bombe abbia parlato Gaspare Spatuzza, il pentito che ha svelato i depistaggi nelle indagini sull’attentato a Paolo Borsellino e alla sua scorta.
Delia Cardia: “lo dobbiamo a tutte le vittime di Capaci un nuovo processo a Tutino”
Nel 2008 la Cassazione ha condannato i mandanti della strage di Capaci – il ‘gotha’ di Cosa Nostra – e gli esecutori materiali, tra i quali Giovanni Brusca, che azionò il telecomando. Il verdetto su Capaci bis chiude dunque il cerchio. La Pg Cardia aveva però sostenuto che “nell’assoluzione di Tutino c’è stata da parte della sentenza di appello una caduta totale di logicità nel metodo utilizzato, si è seguito un percorso tutto di facciata”. Tutino è quindi ancora “un’ombra da illuminare”, come ha insistito anche il Pg nisseno nel suo ricorso alla Suprema Corte. I giudici della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, in sostanza, nella loro sentenza del 21 luglio 2020 si sarebbero fatti influenzare dall’assoluzione di Tutino emessa in primo grado “con una omessa valutazione – ha proseguito la Pg Cardia – di materiali decisivi e probatori sull’attivismo di Tutino anche nella strage di Milano“. Ci sono anche le sentenze di Firenze che parlano “della sua probabile partecipazione a tutti gli attentati, data la caratura del personaggio, uomo di fiducia di Graviano“. Per la Pg Cardia, “lo dobbiamo a tutte le vittime di Capaci un nuovo processo a Tutino“, per il suo ruolo “credo che sia veramente mancata l’analisi delle emergenze processuali”.

Nonostante questo, per i giudici della Cassazione,non è così, infatti il processo non si deve rifare. Oltre a Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo, magistrato anche lei, morta poco dopo l’arrivo in ospedale, la Pg Cardia ha scandito il nome di Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro, gli agenti della scorta fatti a pezzi dall’esplosione che 30 anni fa strinse in una morsa il Paese intero e le sue istituzioni. A far scattare il piano, che portò alla morte di Falcone decisa da Cosa Nostra tra il 1982 e il 1986 come ricordato in udienza davanti alla Seconda sezione penale presieduta da Geppino Rago, è stato il passaggio in giudicato delle condanne del maxiprocesso, un esercito iniziale di 471 imputati di mafia, ratificate dalla Cassazione il 30 gennaio 1992. In quel momento finì la “sospensiva” della ‘fatwa’ che pendeva sul giudice Falcone che istruì ‘u maxi’ con Paolo Borsellino e il pool di Antonio Caponnetto. Cinquantasette giorni dopo Capaci, ci fu la strage di Via D’Amelio, l’attentato di stampo terroristico mafioso che portò alla morte di Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Valeria Muratori