Di Roald Dahl, autore per l’infanzia tra i più amati di sempre, sappiamo molte cose, in positivo e in negativo. Nasce il 13 settembre 1916 a Cardiff, nonostante i genitori siano norvegesi. Il suo nome è un omaggio all’esploratore Roald Amundsen, considerato in Norvegia un eroe nazionale. L’infanzia è scandita dalle rigide regole dei collegi frequentati ma, una volta divenuto adulto, Dahl decide di non iscriversi all’università, e inizia a lavorare presso la Shell Petroleum Company, impiego che gli consente di viaggiare in lungo e largo per tutto l’impero britannico. Durante la seconda guerra mondiale si arruola come aviatore nella Royal Air Force. In seguito a un incidente viene trasferito a Washington, dove si dedica ad attività di propaganda e spionaggio per conto del governo. Finalmente, nel 1942, dà il via alla sua carriera di scrittore, con un racconto per bambini elaborato nella capitale statunitense, dove conosce Cecil Scott Forester.

Una volta tornato in Gran Bretagna, la sua popolarità prende il volo, grazie a piccoli capolavori per bambini come Gli Sporcelli, Il GGG, Le Streghe, Matilde e, naturalmente, La fabbrica di cioccolato. Di quest’ultimo Roald diviene anche sceneggiatore, curandone la famosa trasposizione cinematografica del 1971 Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, con Gene Wilder nei panni dell’eccentrico protagonista. Per mezzo di storie surreali e fantastiche, la penna di Dahl intrattiene ed educa generazioni di giovanissimi, che si divertono con le vicende degli strampalati personaggi, ma imparano sempre qualcosa di nuovo sul mondo. La sua rilevanza, nonostante egli sia scomparso nel 1990, non teme il passare del tempo, e a renderlo evidente è il regista Wes Anderson. I quattro cortometraggi da lui realizzati nel 2023 sono infatti tratti dai racconti del narratore gallese. Una dimostrazione del fatto che le tematiche affrontate dai suoi libri siano ancora estremamente attuali e godibili.

Roald Dahl: il confronto con i contemporanei e le atmosfere dickensiane dei suoi romanzi

Roald Dahl
Un’illustrazione tratta da Matilda, tra i romanzi più celebri di Roald Dahl

Roald Dahl è stato stesso accostato, per temi e produzione letteraria, alla collega e contemporanea Enid Blyton; le differenze tra i due, però, sono tangibili. Laddove Blyton si mostra prolifica, Dahl si limita a una ventina di manoscritti. Se l’autrice inglese si distingue per una sintassi semplice e immediata, lui di sbizzarrisce con neologismi e linguaggi inusuali. Enid si muove per stereotipi e formule, Roald è sempre innovativo ed originale. Entrambi sono legati al fantasy, ma ne rappresentano due diverse facce; da una parte abbiamo dei mondi nuovi, creati da zero dalla scrittrice, dall’altra, i personaggi creano e vivono la magia in contesti urbani molto più realistici.

Se proprio c’è da fare un paragone, il nome da tirare in ballo è quello di Charles Dickens. Proprio come il romanziere vittoriano, anche il microcosmo del prosatore di origini norvegesi è popolato da oppressi in cerca di riscatto, poveri in difficoltà, bimbi indifesi che imparano sulla loro pelle le brutture della vita. Seppur con metodi diversi, e rivolgendosi a un pubblico differente, l’universo dickensiano e quello dahliano collimano e s’intersecano, spaccato più o meno fedele della società, con tutti i pregi e i difetti del caso.

La figura dell’orfano e dei suoi persecutori

Proprio come Dickens, anche Roald Dahl, spesso, elegge a eroe predestinato un orfanello, che si ritrova, suo malgrado, al centro di avventure incredibili, dalle quali apprende moltissimo, e che si rivela per lui, o per lei, un’occasione per migliorare la propria condizione di partenza. Il GGG è forse il romanzo più esemplare per capirne la poetica. Una bambina, Sofia, vede un gigante dalla finestra dell’orfanotrofio di Londra in cui vive. L’enorme essere se ne rende conto e la rapisce, temendo che lei possa raccontarlo in giro. Il Grande Gigante Gentile, però, tiene fede al proprio appellativo ed è buono, a differenza dei suoi compagni, che mangiano gli esseri umani. Sofia e il suo nuovo amico decidono di porre fine ai soprusi dei giganti crudeli. Vanno perciò a Buckingham Palace e nelle orecchie della regina Elisabetta un sogno che le rivela il pericolo che il mondo sta correndo. Abbiamo, dunque, tutti i cardini della letteratura di Dahl: la protagonista sfortunata, il gobblefunk, ovvero l’inglese distorto, e il sopruso da parte di un adulto malvagio.

Anche James e la pesca gigante, il suo primo successo in campo editoriale, presenta uno schema simile. James, rimasto orfano, è costretto a vivere con due cattivissime zie che lo bistrattano. Incapperà in mille peripezie, ma, aiutato dalle numerose figure incontrate lungo il suo cammino, riuscirà a scappare dai maltrattamenti e sarà finalmente libero. Anche in questo caso, possiamo notare subito una cosa: gli adulti non fanno una gran figura.

Roald Dahl e i suoi adulti complicati

I “grandi”, d’altronde, spesso ricoprono il ruolo di antagonisti nelle pagine di Dahl. Ne sono un esempio folgorante i coniugi Wormwood, i terribili genitori della portentosa Matilda, protagonista dell’omonimo romanzo, dal quale è stato tratto il cult movie Matilda 6 mitica, diretto da Danny DeVito. Frivoli, disonesti, egoriferiti e spaventosamente vacui; l’esatto opposto della loro figlia prodigio, che trova conforto e amore nei suoi amati libri. Per non parlare della terribile direttrice della sua scuola, Miss Trunchbull, tradotto in italiano con un efficacissimo “Signorina Trinciabue”. Una che si diverte a usare le sue allieve come giavellotto prendendole per le treccine, giusto per intenderci. Quando non sono perfidi in modo esplicito, gli adulti di Roald Dahl sono perlopiù inadatti a prendersi cura del piccolino di turno; e il caso dei genitori di Charlie de La fabbrica di cioccolato, che di certo non sono malevoli, ma non hanno i mezzi economici per badare alla famiglia.

Fortunatamente, in ogni racconto subentra un personaggio positivo, che ribalta le sorti del povero bambino. WIlly Wonka, seppur strambo, si rivela un benefattore per Charlie e per la sua casa; la tenera maestra Miss Honey prende sotto la sua protezione Matilda, salvandola dalla temibile preside e dagli scellerati parenti. Anche ne Le Streghe, in antitesi alla villain per eccellenza, la Strega Suprema, spicca la nonna del protagonista, anziana ma risoluta, che aiuta il nipotino e lo accetta e ama anche quando la fattucchiera lo trasforma in un topo.

Il contrappasso dantesco applicato ai bambini

I più piccoli, tuttavia, non devono cantare vittoria; Roald Dahl ne ha anche per loro. In piena tradizione ottocentesca, l’autore punisce i suoi stessi personaggi, qualora lo ritenga necessario. Nel vagamente horror Le Streghe, infatti, sia il protagonista che il suo amico Bruno vengono trasmutati in roditori; certo, a compiere il maleficio sono le megere che li catturano, ma sono state la curiosità di uno e l’ingordigia dell’altro a cacciarli nei guai, e loro ne scontano le conseguenze, apprendendo una grande lezione.

Anche ne La Fabbrica di cioccolato, i vincitori dell’ambito Golden Ticket non se la passano benissimo, a causa del loro essere insopportabilmente viziati e prepotenti. Il goloso Augustus Gloop viene trascinato via da un tubo di cioccolato. Violet Beauregarde, troppo impaziente per attendere, ingoia una caramella non ancora testata e si gonfia a dismisura. Un esercito di scoiattoli butta la capricciosissima Veruca Salt nella spazzatura. Mike Tivù, infine, ossessionato dal piccolo schermo, finisce per rimpicciolirsi. Soltanto Charlie, educato e modesto, non approfitta della fortuna ottenuta attraverso il biglietto; proprio per questo, arriva fino alla fine della visita, ricevendo un premio inaspettato.

Roald Dahl e le accuse di antisemitismo

Viene difficile pensare che un uomo così attento a dare voce ai bambini e a insegnar loro a difendersi e a farsi sentire, possa essere incappato in accuse pesanti come quelle che gli sono state mosse, che riguardano l’antisemitismo. Eppure, a confermare le sue posizioni, è stato lui stesso. Nel 1983, infatti, ha dichiarato al New Statesman: «Esiste un tratto nel carattere ebraico che provoca animosità, forse è una sorta di mancanza di generosità nei confronti dei non ebrei». E ancora: «Voglio dire che c’è sempre un motivo per cui l’anti-qualcosa spunta fuori. Anche un poco di buono come Hitler non se la sarà presa con loro senza un buon motivo». Nel 1990 ha affermato, poi, intervistato dall’Independent: «Sono certamente anti-israeliano e sono diventato antisemita» in quanto «in Inghilterra si sostiene fortemente il sionismo». Frasi che non lasciano molto spazio all’immaginazione.

Per placare l’indignazione generale, gli eredi dello scrittore hanno rilasciato un comunicato di scuse, apparso sul sito ufficiale di Dahl. Il testo è il seguente: «La famiglia Dahl e la compagnia Roald Dahl Story si scusano profondamente per l’estremo dolore che hanno provocato certe dichiarazioni di Roald Dahl in passato; quelle affermazioni dense di pregiudizio ci suonano ancora come inspiegabili e sono in forte contrasto con l’uomo che abbiamo conosciuto in vita insieme ai suoi valori. Le storie di Roald Dahl hanno avuto un impatto positivo sui giovani per generazioni. In ogni caso, quello che Dahl ha detto e scritto, nel bene e nel male, ci ricorda quanto importanti siano le parole nella vita.». Il messaggio, però, ha ricevuto non poche polemiche, poiché non pubblicato in homepage o in evidenza, ma in una pagina piuttosto nascosta e poco visibile. Decisamente non abbastanza, data la portata delle parole del loro antenato.

Mente brillante, autore eccellente, genio indiscusso. Roald Dahl era tutto questo. Come essere umano, tuttavia, si è rivelato come gli adulti da lui stesso descritti: deludente.

Federica Checchia

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