Tratto dall’omonimo romanzo di Daniel Wallace del 1998, Tim Burton dipinge il fantastico mondo di un protagonista fanfarone, che per tutta la sua esistenza non ha fatto che intrattenere gli altri, e soprattutto sé stesso, con bizzarre storie di fantasia. Tra un gotico Bayou e atmosfere coreografate e plastificate con i toni del pastello, viaggio straordinario nel mondo sognato, in cui l’evasione è sopravvivenza e l’immaginazione l’unico modo di vita possibile. Messaggio di coraggio a non lasciarsi intrappolare dagli schemi, ed essere autori della storia della propria esistenza, perché si vive una volta sola.

Will Bloom (William Crudup) lascia Parigi per recarsi in visita al padre morente, il leggendario Edward Bloom (Albert Finney e Ewan McGregor). Questi è un personaggio mitico e amato da tutti, per la sua capacità di intrattenere attraverso storie fantastiche, che lo vedono sempre eroico protagonista. Il figlio, tuttavia, non fa parte degli ammiratori, irritato non solo dal chiaro esibizionismo del genitore, ma anche dal suo assenteismo e mancanza di trasparenza. Egli vorrebbe solo che il padre gli raccontasse qualcosa di vero, tanto per cambiare. Ma Edward si trova sul letto di morte e non è disposto a farsi mangiare dalla dura realtà. Egli continua così a raccontare le storie, le quali, tutto sommato, forse non sono così irreali come si potrebbe credere.   

Big Fish: essere il re del proprio mondo, o il pesce più grosso dello stagno

La serie di storie di Edward Bloom, per quanto stravaganti, ha un filo conduttore; esse descrivono, infatti, il percorso evolutivo di Edward, nella sua volontà di affermarsi, viaggiando, trovando un lavoro e sposando la donna che ama. L’individualismo diventa eroismo, nei toni iperbolici della fantasia. Egli racconta che, ancora ragazzo, dovette combattere una sindrome di gigantismo e crescita delle membra in tempo reale. Egli fu affetto quindi da questa “grandezza”, e la città divenne, per lui, troppo piccola. Dopo averla liberata dall’oppressione di un vero gigante, fece amicizia proprio con quest’ultimo ed insieme partirono in viaggio. Il gigante, con la sua eccezionale statura, rispecchia la grandezza delle ambizioni del protagonista. Edward afferma infatti, che il pesce rosso abbia la capacità di adattare le sue misure alla vasca in cui nuota. Nella vita, più ci si lancia ed espande, più grandi saremo. L’iperbole caratterizza dunque ogni azione dell’uomo, il quale vive, ama e corteggia in maniera grandiosa.

Al gigantismo morale, corrisponde un coraggio prodigioso, che sarà il vero vettore propulsore nella sua eccezionale ed avventurosa esistenza. Coraggio dietro al quale si cela, ovviamente, un’altra fantastica storia. Edward ha infatti sfidato il terrore ed incontrato una strega, dal cui occhio di vetro egli ha visto riflessa la scena della propria morte. In ogni occasione pericolosa che gli si presenterà, egli si farà forte della consapevolezza di morire altrimenti. È solamente liberandoci delle nostre paure fondamentali, ed avendo il coraggio di lottare per i nostri desideri, che è possibile vivere a fondo.

Big Fish, di Tim Burton-Photo Credits: thevision.com
Big Fish, di Tim Burton-Photo Credits: thevision.com

Rappresentazione di mondi fantastici e surreali

La fantasia prende la parola, o l’immagine, per la maggior parte del film. Ritroviamo il tono fiabesco tipico dell’universo di Tim Burton, a partire dall’amore delle scenografie gotiche, in questo caso però declinate al sapore del Bayou. I Bloom vivono in una Alabama dalle paludi selvagge e la vegetazione fitta, che copre case coloniche decadenti e dove si nascondono ragni e serpenti. E quando anche ci si trova nella civiltà, questa appare completamente surreale. Ritornano le geometrie ordinate ed alienanti di Edward mani di forbice, così come l’omologazione estetica, sulle tonalità anni ’50 del pastello. Ritorna la visione in soggettiva, poiché spesso le scene sono introdotte da un protagonista, visto di spalle. Questo ci ricorda che il mondo mostrato è frutto di una realtà filtrata, manipolata e raccontata.

Il narratore è inventore e protagonista del proprio mondo, che gli gira intorno accordandovisi. È il direttore di orchestra che fa muovere il resto degli insignificanti personaggi all’unisono. In ogni fiaba, le persone sono annullate ad una collettività scialba ed omologata. Appiattita dai pastelli dei vestiti, in opposizione alle passionali maglie rosse del protagonista, amalgamata in movimenti coreografici dell’applaudire o annuire. Ridotta letteralmente all’immobilità, come nel momento in cui il tempo si arresta, nel circo; o durante la scena della rapina in banca, in cui tutti, tranne ovviamente Edward, si nascondono rigidamente per terra. La società è dunque rappresentata nella sua più spiccata omologazione, un contesto da cui l’eroico Edward si distacca o cerca allora di primeggiare o dominare, arrivando a comprare una città intera, come a diventarne il re.

L’immaginazione, un’evasione necessaria

Edward scappa dagli schemi, come il mitico pesce gigante della sua storia. Questo continua a farsi cacciare dai pescatori, senza mai farsi intrappolare o tentare dalle abbaglianti esche che gli vengono proposte. Edward non cede all’accettazione della realtà, nemmeno di fronte all’urgenza più grande, quella della morte e di un figlio implorante di un momento di verità. L’immaginazione, simboleggiata dalla fertilità dell’acqua, è più bella dell’esperienza reale. Quando Edward si innamora della futura moglie, egli spende tre anni a raccogliere indizi su di lei. Alla conoscenza di ognuno dei quali, egli si scioglie in un brodo di giuggiole, poiché immaginare la sua amata è quasi ancora più bello che averla di fronte.

Il figlio Will comprende finalmente che il padre non racconta le storie per puro spirito narcisista o per velare tradimenti coniugali, ma semplicemente perché incapace di accettare la banalità di una vita senza immaginazione. La fantasia è l’unica arma a nostra disposizione per sfuggire la tragedia del quotidiano, capirà il figlio, al momento della morte del padre. In un finale che strizza l’occhio all’ 8½ di Federico Fellini, i personaggi delle storie fittizie sono riuniti, nelle vesti dei loro alter ego reali, in occasione del funerale di Edward. Questi presentano eccentricità, non esagerate come nelle favole, ma comunque ben discernibili. E soprattutto hanno un enorme affetto per quel magico uomo, che in un certo momento della loro vita, li ha fatti sognare.

Sara Livrieri

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