L’Anarchia e Brassens salveranno il mondo? Forse sì, magari per niente. Così è quando si tratta di ipotizzare un nuovo rinascimento culturale per il mondo con l’ausilio di un pensiero, una ideologia, così complessa, radicale, demonizzata ed elogiata. Un nuovo rinascimento culturale non sono per le belle arti, ma anche del vivere quotidiano. Con accezioni sia politiche che sociali, con lo scopo perenne di cambiare il corso dell’umanità.
L’Anarchia, l’ordine senza il potere costituito. Una concezione politica liberale, fondata sul credo dell’autonomia, nella distruzione (certe volte simbolica, altre violenta) dello stato. Molti dei questi sentimenti, li ha sicuramente fatti suoi Georges Brassens. Poeta vicino alle frequentazioni agli chalet parigini, dove respira le atmosfere esistenzialiste dell’epoca. Una Parigi bucolica, goliardica nelle sale dove gli chanssoniers si esibivano proponendo al pubblico pagante le primizia musicali del momento.
E quale musica si ascoltava nei Cafè parigini in quegli anni? Nel dopoguerra e nei primi anni Cinquanta, i francesi acclamavano Edith Piaf, Yves Montand e Juliette Grèco. Il palcoscenico del Bobino vissuto, gli eco della poesia alta di Jacques Prévert. Georges Brassens, nato nel 1921, debutta al Chez Patachou dove dimostra acutezza e accuratezza nel linguaggio. Un linguaggio ora burbero ne grezzo, ora elegante e molto ironico. Con la sua grandezza, diventò presto autore di riferimento per i nostri cantautori italiani. Fabrizio De Andrè ne rimase innamorato, ad esempio, sentendo la versione originale in lingua francese de “Le gorille“, tanto da farci una sua versione in italiano. Si ripeterà poi con “Le passanti” e “Morire per delle idee“, entrambe tratte da Brassens.
Lo stile degli chansonniers francesi e dei loro illustri interpreti è tutt’altro che omogeneo e tante sono le sfumature che lo caratterizzano. Le tematiche però, senza banale retorica, sono quelle dedicate agli ultimi: I reietti della società, gli strani, le dame abbandonate e quelle che ti spezzano il cuore. Scandalizzano naturalmente i testi di Georges Brassens che narrano storie di ladruncoli, piccoli furfanti e prostitute. “Canzoni realiste“, quella cioè di carattere sociale. Molti spettatori si alzano ed escono; altri, sorpresi dinanzi a questa novità assoluta, restano ad ascoltarlo. Ha inizio la leggenda di Brassens, il successo che non lo abbandonerà più da quei locali.
Le canzoni di Brassens: Le gorille del 1947.
È forse una delle sue canzoni più censurate, che rappresenta in pieno lo stile ribelle e “controcorrente” dell’artista. Il brano vuole essere una dura critica alla pena di morte ed ha per protagonista uno sfortunato magistrato, reo di aver ordinato l’uccisione di un criminale. Un gorilla, quello a cui è dedicato il titolo, scappa dalla gabbia dello zoo in cui era rinchiuso, alla ricerca di una femmina con cui accoppiarsi e trovandola, per errore, proprio nel magistrato, che così viene in qualche modo punito per il suo gesto. La canzone (cantata anche in italiano da Fabrizio De André), boicottata e censurata in ogni modo per lunghi anni, è oggi una delle più celebri di Brassens, in Francia e nel mondo.
Morire per delle idee: Manifesto intellettuale sottoforma di chanson.
Ripresa per l’appunto da Fabrizio De Andrè, Mourir pour des idées è una canzone contro la guerra. Ma è molto riduttivo spiegarla con queste parole. Rappresenta anche il rifiuto di obbedire ad un certo ordine costituito, alle regole ufficiali sia dell’arte e sia ai regolamenti sociali imposti. Con questa poesia decantata, Brassens rende esplicito questo rifiuto del dogma, sia politico che religioso, che spinge al “sacrificio” o al “martirio” coloro per i quali non hanno niente da poter offrire e niente da proteggere.
Articolo a cura di Gianrenzo Orbassano.
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