Il topos letterario del ritorno della primavera nella poesia greca classica: Alcmane, Ibico e Leonida

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Di Stella Grillo

Nei lirici greci il topos letterario del ritorno della primavera è ampiamente descritto in numerosi versi della poesia greca classica. Nella rubrica ClassicaMente la stagione primaverile in letteratura greca: Alcmane, Ibico e Leonida di Taranto.

Il topos del ritorno della primavera nei lirici greci: l’ironia di Alcmane e il tempo in divenire

I Greci hanno da sempre avuto un rapporto privilegiato con la natura e il topos del ritorno della primavera nei lirici ne è testimonianza. Partendo da Alcmane, poeta lirico greco (fine del sec. 7º a.C.) originario di Sardi (in Lidia) e che visse a Sparta:

(Zeus) ”Tre stagioni pose: l’estate, l’inverno, come terzo l’autunno e come quarta la primavera, quando tutte le cose sono in  fiore, ma da mangiare non ce n’è abbastanza”.

In questi frammenti di Alcmane si coglie la potenza creatrice della primavera con un’immensa e sottile ironia. La stagione primaverile è un tempo in divenire: è un periodo fiorente e rigoglioso in cui la natura acuisce il suo immenso potere disseminando la terra di gemme e germogli.

Proprio da questi fiori di cui la primavera si orna che tuttavia, una volta schiusi, si coglieranno alla luce di questa fioritura dei frutti dolcissimi. Un periodo in cui il tempo è sospeso fra boccioli e gemme: la primavera è il momento sì dell’attesa, ma è anche foriera di future ricompense che, in seguito, nasceranno da tutto questo sbocciare multicolore. Per rendere questo frammento moderno, si potrebbe parafrasare la celebre canzone per bambini Ci vuole un fiore, noto testo scritto da Gianni Rodari e cantato da Sergio Endrigo; in effetti, ”per fare tutto ci vuole un fiore” e, come afferma Alcmane, nella stagione dei zefiri leggeri tutto è fiorito; gemme i cui scrigni contengono dolcissime – future – ricompense.

Ibico, il poeta reggino della natura e dell’amore

Ibico il noto poeta di Reggio Calabria ,la cui natura è fonte di ispirazione primaria, è famoso per i suoi versi intrisi d’amore. Cicerone, all’interno della Rhetorica – Tusculanae Disputationes (IV 33, 71), lo definisce:

“Il Reggino Ibico tra tutti il più infiammato d’amore. E vediamo che gli amori di tutti costoro sono sensuali”.

La concezione sentimentale di Ibico, sia essa amorosa o passionale, è molto più congrua alla poetica di Saffo; le liriche intrise di struggimento e inquietudine differiscono dalla poetessa del tiaso per la minuzia descrittiva di cui si compongono e, soprattutto, dal linguaggio dettagliato che le caratterizza. Se si cita il topos letterario del ritorno della primavera all’interno dei lirici greci, Ibico è probabilmente un autore imprescindibile: l’eloquio di Ibico è copioso e pullulante di elementi naturali. Ecco, quindi, che l’amore viscerale per la natura, in questo poeta, si manifesta nella scelta del lessico attraverso gli appellativi epici e mitologici e nelle illustrazioni riguardanti le collocazioni geografiche. Tale peculiarità è eristica anche in uno dei suoi frammenti che meglio rappresenta l’incedere del ritorno primaverile:

In primavera, i meli cidoni
irrorati dalle correnti dei fiumi,
là dov’è il giardino inviolato
delle Vergini – e i fiori della vite,
che crescono sotto i tralci ombrosi,
ricchi di gemme, germogliano. Per me Eros
in nessuna stagione si posa:
ma come il tracio Borea,
avvampante di folgore,
balza dal fianco di Cipride con brucianti
follie e tenebroso, intrepido,
custodisce con forza, saldamente,
il mio cuore.

Questo frammento inizia con una rappresentazione idilliaca del topos riguardante il ritorno della primavera. La descrizione che fa Ibico sulla mite stagione è arcadica, bucolica, quasi celestiale. Tuttavia, nella seconda parte, delinea l’arrivo di Eros paragonandolo quasi a un vento impetuoso che scuote l’anima. Un locus amoenus primaverile, quindi, dove la natura è rappresentata attraverso un’immagine serena e pastorale si trasforma ora in un luogo sopraffatto dal folgore passionale; segno di come l’impeto amoroso possa scalfire anche una stagione tanto quieta e blanda come la primavera.

Il topos del ritorno della primavera nei lirici greci: gli epigrammi di Leonida di Taranto

Leonida di Taranto, poeta greco antico considerato il maggior esponente della scuola dorico-peloponnesiaca, scrisse numerosi epigrammi che sono riportati nel’ ’Antologia Palatina. Gli argomenti della sua produzione poetica sono molteplici, tuttavia fra questi si annovera anche un frammento riguardante il ritorno della stagione primaverile:

Al navigare è già tempo opportuno, ché la rondinella
garrula è di ritorno con Zefiro soave.
Già rifioriscono i prati; e l’onda del mare, che prima
ululava alla sferza d’aspre raffiche, tace.
Tira su l’ancora e sciogli, o marinaio, le funi
e naviga con tutte le vele tese al vento.
Ciò t’ammonisco, io Priapo, il dio guardiano dei porti,
uomo, perché tu salpi ad ogni mercatura.

Il frammento si apre con un’immagine classica del ritorno della primavera. Il tepore della bella stagione avanza e lo si evince dallo Zefiro, tiepido e blando vento primaverile ma, soprattutto, dalla rondine che si libra in cielo; segnale che quel periodo mite sta ormai per sopraggiungere. Ecco che Leonida coglie nella rondine il segno premonitore dell’imminente ritorno della primavera; il suono garrulo della rondine è un araldo di rinascita, così come il verdeggiare dei fiori e lo sciabordio delle onde del mare che durante l’inverno squassavano le rocce aspri suoni ora, invece, tacciono placide. Adesso il vento è favorevole per i marinai che vogliono dispiegare le vele e navigare; è la primavera la stagione per sciogliere le funi. L’ultimo verso, infatti, è un’ammonizione verso gli uomini che, invece, salpano in mare con in ogni tempo inconsci e incoscienti di quello che sarà.

Stella Grillo

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