Florence Pugh è scesa sotto i riflettori statunitensi con Piccole Donne di Greta Gerwig, in cui interpreta la pittrice delle sorelle March. Ma la versatile attrice britannica ha militato in pellicole meno mainstream e altrettanto acclamate prima di ottenere la sua nomination agli Academy. E tra queste (oltre al più recente e controverso Midsommar), c’è sicuramente Lady Macbeth, film del 2016 diretto dal londinese William Oldroyd e scritto da Alice Birch alla sua prima sceneggiatura.

“Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk”
Questo è il titolo della novella russa di metà ‘800 da cui il film è, molto liberamente, tratto, e che si ispira a sua volta al celebre dramma di Shakespeare. Catherine è costretta a un matrimonio combinato con un ricco ereditiere che vive nella gelida brughiera inglese. E mentre fuori la natura selvaggia la chiama a sé come la più tipica eroina gotica (Catherine è d’altronde anche il nome dell’indimenticabile protagonista di Wuthering Heights), il suo universo si limita alle quattro pareti della casa in cui il marito e il suocero la costringono.
Anche se ci troviamo circa 800 anni dopo le vicende del Macbeth, e sebbene la celebre Lady venga citata solo nel titolo, è dal suo personaggio che nascono novella e film. Approfittando delle assenze del marito, totalmente disinteressato a lei, tra macchinazioni, menzogne e omicidi, Catherine riesce infatti a ottenere quello che vuole, instaurando una relazione con un bracciante (Cosmo Jarvis) che arriverà a prendere de facto il posto del padrone di casa. Per poi finire anche lui vittima della crudeltà ormai ingestibile della giovane donna.

L’ultima delle Lady
Non è mai stato un personaggio facile da portare a teatro, e neppure al cinema (l’ultima versione è quella di Marion Cotillard). Tante sono le attrici che si sono battute per entrare nelle vesti della terribile Lady, per poi scoprire che la sua crudeltà cela in realtà un’ambiguità che la rende quasi impossibile da interpretare. E la Pugh non ha dovuto combattere meno. Ma a sostenere la sua brillante prova c’erano una sceneggiatura pressoché perfetta e una regia magnetica.
La macchina da presa non riesce a staccare gli occhi dalla protagonista, stretta nel suo ampio abito cobalto ormai iconico, ma noi non riusciamo a staccare gli occhi dalla pellicola. Magia e tensione si mescolano in questo thriller che a molti ha non a caso ricordato il grande cinema di Hitchcock, e che quando pensiamo possa risolversi ci trascina invece verso il baratro, tenendoci prigionieri dell’incubo che Catherine si è costruita, anche dopo che il film è finito.
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Manuela Famà