San Valentino al veleno, “500 Days of Summer” (500 giorni insieme)

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

San Valentino al veleno, capitolo quinto: “500 days of Summer”, di Mark Webb su un’esplosiva sceneggiatura di Scott Neustadter e Michael Weber. Storia di un giovane uomo che si innamora di una fantasia, una donna idealizzata a mera proiezione dei propri desideri, il cui chiaro disinteresse egli non sembra registrare. Colpa anche della cultura pop delle canzoni e delle commedie d’amore, promotrici di un idealismo cieco, dell’elogio dell’insistenza e, ad oggi, grazie ai social network, dello stalking, per un film che diventa sempre più amaramente realistico con il tempo che passa. Il metacinema, la narrazione cronologica disordinata ed il formato variegato e postmoderno garantiscono la totale sottommissione degli eventi dalla incasinata percezione del protagonista, intossicato fin dalla giovinezza, dagli amori romantici del pop britannico. Lui si vittimizza per una relazione che esiste solo nella sua testa. Lei non prova abbastanza empatia per lasciarlo andare. Un film sfaccettato, da discutere all’infinito.

Storia raccontata in disordine cronologico e dal punto di vista inguaiato di Tom (Joseph Gordon-Levitt). Egli ha un colpo di fulmine per la bella collega Summer (Zooey  Deschanel) con cui mette su una pseudo-relazione, mai ufficializzata. Tom è “un romantico”, ha un‘indole sognatrice, fin dalla giovinezza incendiata dai testi delle ballad dei suoi idoli rock inglesi. Summer ha lo stile hipster da lui sognato ed una simile passione per la musica britannica, che la consacra a donna perfetta. Tuttavia ella è, al contrario di Tom, prudente nei confronti delle relazioni sentimentali; questo è dovuto anche alla sofferenza che ha provato da piccola, quando i suoi genitori hanno divorziato. Summer bacia Tom, dando adito una frequentazione, ma rimanendo sempre esplicitamente contraria ad ingaggiarsi in una storia seria. Tom finge di accettare le condizioni e spera conquistarla, ma la donna, in seguito, lo pianta definitivamente.

San Valentino al veleno: “500 days of Summer”, amore unilaterale

Tom decide, con un astrattismo razionale un po’ tipicamente maschile, che i numeri di Summer, riconosciuti alla stregua di un CV, gli permettono di idealizzarla. Meccanismo facilitato grazie proprio alla corrispondenza tra gli interessi e lo stile della donna e tutto ciò che lui stesso ha sempre cercato nell’amore. “Solo perché una ragazza è carina e ama la stessa strana merda che piace a te, non significa che è la tua anima gemella”, le dice la sorella di dieci anni. Tom è vittima di un meccanismo immaturo, pigro ed egocentrico di innamoramento; un volo di fantasia, di cui lui e non la coppia, è protagonista. Egli deve conquistarla, e a volte ci si chieda se faccia lo sforzo di conoscerla davvero. Summer, d’altro canto, non facilita le cose; ella pone una distanza e si racconta poco.

Soprattutto, attraverso il rifiuto di accettare la relazione, Summer si pone in un atteggiamento misto di protettrice e carnefice. Il fatto di elevarsi su un piedistallo di inaccessibilità è poco umano e non aiuta certo Tom, ma lo rende, invece, ancora più disperato e ossessivo. Certo, le relazioni umane dovrebbero essere spontanee e magari ella ha giusto provato a vedere cosa ne poteva venire fuori; al contrario di Tom, Summer si muove sulle proprie sensazioni, invece che “calcoli”. Un personaggio che rimane misterioso ed inaccessibile e la cui complessità non viene colta da Tom; si pensi alla scena in cui ella scoppia a piangere, vedendo il finale de Il laureato. Questo film termina famosamente con l’espressione disincantata dei due protagonisti, durante quella che dovrebbe essere una “fuga d’amore”. Summer capisce la profondità del messaggio, mentre Tom coglie semplicemente la più superficiale apparenza romantica della scena.

San Valentino al veleno: 500 days of Summer-Photo Credits: Mubi.com
San Valentino al veleno: 500 days of Summer-Photo Credits: Mubi.com

Il metacinema, e l’atto di accusa al romanticismo da biglietti e rom-coms

La regia si nutre di pellicole cinematografiche citate, mostrate, e parodiate; le quali integrano quell’immaginario pop che ha forgiato un’immagine di amore irrealistica. Un’introduzione parodia dei documentari educativi americani degli anni ’50, strizza l’occhio al Jeunet di Amélie. Si spiegano, in termini “scientifici” le ragioni dell’intossicamento romantico che ha forgiato Tom, fin dalla giovinezza, sui toni delle deprimenti canzoni britanniche. Dopo aver fatto sesso con Summer, il protagonista balla in estasi amorosa come in un musical, giocando con cartoni animati, vedendo Harrison Ford mentre si guarda allo specchio. Ironiche iperboli che danno sostanza ad una visione del mondo immatura, in cui l’amore è confezionato sulle semplificazioni delle commedie. Recenti studi (Julia Lippman, 2015, Università del Michigan) hanno dimostrato come i film influenzino gli atteggiamenti di “insistenza” nelle relazioni amorose; esse sono spesso mostrate come delle competizioni, il cui premio consiste nella “conquista” dell’amato/a (antagonista, in termini di scrittura).

Il carattere illusorio di questo amore è del resto evocato nella scena in cui i due si recano all’ Ikea. Giocando con i mobili, essi appartengono ad una dimensione matrimoniale, non solo fittizia, ma anche impossibile nella sua esagerazione (abbiamo una casa con due cucine!). Questa si fa dunque immagine di un amore “gonfiato” ed irreale, idealizzato anche nella complementare dimensione narcisistica dell “amore monumento”, contemplato dagli altri. Infatti i due flirtano su un letto, per rendersi conto poi di essere osservati da una basita famiglia cinese. Si riprendono in questo modo le parole della canzone iniziale:They made a statue of us/And then put it on a mountain top/ Now tourists come and stare at us. Essi poi si recano in un museo per ammirare una scultura a forma di feci. “Esprime così tanto, dicendo così poco”; una frase descrittiva, anche, della loro relazione, che è “fuffa”.

500 giorni di me e di me

Il protagonista rincorre quest’amore come se stesse cercando di catturare una farfalla. Rimane difficile non empatizzare con le sue sofferenze, complice la distante freddezza di Summer; e, soprattutto, il dispositivo cinematografico, che ci fa completamente calare in una visione soggettivizzante degli eventi. Tom si assicura una complicità privilegiata con lo spettatore, al quale rivolge con lo sguardo alla telecamera le proprie emozioni. A gli “Amo Summer, odio Summer”, si aggiungono immagini evocate dai pensieri, che configurano un vero e proprio spazio mentale. Nello stesso senso va lo sconvolgimento della cronologia, che si pone a flusso di coscienza, procedendo a volte per associazioni di idee, o salti temporali e comparativi degli eventi; riletture di momenti di allora, con la consapevolezza di poi: il povero Tom si tortura e processa, per capire cosa ha sbagliato.

La verità è che ha puntato troppo sull’amore, forse per colmare le proprie insoddisfazioni professionali; decidendo di annullarsi completamente in qualcosa che è quasi sempre transitorio, come l’estate. Essa è citata da un titolo che evoca ancora l’idea di esagerazione ed impossibilità (non ci possono essere 500 giorni in un’estate). Il finale ha uno statuto ambiguo, in cui il protagonista è alternativamente pronto per l’ennesimo fallimento idealista, o finalmente più maturo e preparato alla stagione successiva. La sola certezza rimane sé stesso, e quell’architettura, oggetto della sua passione, che è simbolo di un idealismo funzionale e reale. I solidi edifici si sostituiscono ai volatili biglietti di auguri del suo lavoro precedente, e si attacca cosi’ nuovamente il romanticismo da quattro soldi di cioccolatini e peluche. Buon San Valentino! Capitolo quinto, “500 days of Summer”.

Sara Livrieri

Seguici su

Facebook

Metropolitan Cinema

Instagram

Twitter