San Valentino al veleno: Attrazione fatale, il britannico Adrian Lyne (Nove settimane e mezzo, Flashdance, Proposta indecente, Unfaithful) traumatizza una generazione (le seguenti e soprattutto la post-Tinder odierna) con un storiella di tradimento volta ad incubo agghiacciante, complice una terrificante Glenn Close. Sofisticata single dai tormenti borderline, ella si fa simbolo dell’emotività tanto paventata dagli uomini e qui caricata ad un parossismo, che cerca di bilanciare l’entertaiment del “mostro” e l’empatia nei confronti del disagio psichiatrico. La regia fa i fuochi d’artificio, con un uso dei fuori campo che travolge lo spettatore nell’ossessione paranoica del protagonista stalkato, fino a renderlo irrazionale come il suo persecutore. Il montaggio alternato costruisce la tensione, secondo un meccanismo di paurosa attesa completamente perverso. Campione di incassi, 320 milioni di dollari per un budget di soli 14, primato al box office del 1987 e nominato a sei oscar.
Dan Gallagher (Michael Douglas) è un avvocato newyorkese per una casa editrice, ed è felicemente sposato alla dolce Beth (Anne Archer), con la quale ha una figlia di cinque anni, Ellen. Durante una cena di lavoro, egli incontra la sensuale Alex Forrest (Glenn Close), con cui, in occasione di una temporaria partenza di moglie e figlia, ha una avventura, della durata di un week-end. Alex è passionale e piena di vita, ma anche molto intensa; infattti, reagisce in maniera tragica all “abbandono” di Dan, al termine della loro scappatella. Pur conscia dall’inizio che l’uomo era sposato, ella non sembra accettare che il loro incontro sia soltanto episodico e destinato a finire. Alex si lascia quindi andare ad una serie di comportamenti autodistruttivi e ossessivi nei confronti di Dan, che diventa oggetto di un terrificante stalking.
San Valentino al veleno: Attrazione fatale, non si gioca col fuoco
“Sapevi le regole” dice Dan ad Alex, alla fine del loro week-end; l’avvocato dovrà cercare di riportare la donna ad una dimensione “di realtà” la quale, ella, non sembra essere capace di cogliere.”Sei matta” le dice lui, in seguito allo stalking. “Perché? Perché non voglio lasciarti trattarmi come qualche merda che ti sei fatto un paio di volte e poi hai buttato nella spazzatura?” La donna ha avuto un colpo di fulmine, che le sembrava reciproco, e nella sua testa è stata ingiustamente abbandonata. Un personaggio complesso, che evoca la difficile condizione della single ultratrentenne nella metropoli, ed il disturbo di personalità borderline, di cui ella presenta i sintomi di paura dell’abbandono, cambiamenti di umore e forme di autodistruzione. Piange in un angolino, ascoltando la Madame Butterfly, simbolo della sua autoviolenza romantica. Alex accende e spenge la luce ripetutamente, emulando il repentino cambiamento delle proprie emozioni.
Ella è significativamente sempre vestita in monocromo; alterna il nero totale dei cappotti da femme fatale ad un bianco che rimanda, nel suo caso, ai camici degli ospedali e alle camicie di forza. Bianco o nero, gioia o dolore: non ci sono compromessi nel suo mondo. Esso si oppone a quello del diplomatico Dan, il cui atteggiamento troppo riflessivo porta a sottovalutare la pericolosità della donna. Sua madre gli chiese di rappresentarla nel divorzio con suo padre, racconta a mo’ di barzelletta; egli viene da una famiglia spezzata ma non ha esitato un secondo a tradire la moglie in maniera completamente vigliacca. Lo troviamo all’inizio del film isolato dalle cuffie della musica dal resto del contesto familiare. Nel frattempo la mogliettina controlla se le mutande appese in bagno si sono asciugate: tra i due non c’è più mistero e questo porterà l’uomo al tradimento.
Il terrore comincia dall’attesa dello spettatore
“Stai dimenticando qualcosa?” la moglie chiede a Ben mentre si spoglia e la telecamera ci rivela che si riferisce al cane, tra l’altro, simbolo iconico della fedeltà. Il marito lo porta a fare i bisogni; quando rientra ha il volto sorpreso, poiché, altro fuoricampo svelato, la figlia ha preso il suo posto nel letto: notte di passione, addio. Attraverso la tecnica del fuori campo lo spettatore è introdotto in un gioco di mistero e aspettative, che diventerà infernale paranoia, una volta applicato al meccanismo dello stalking. Non si è mai tranquilli, poiché la persecutrice sta per arrivare, ma non si mai in che modo. Dove altro è riuscita ad infilarsi? Chi non ha tremato, quando Dan visita la moglie in ospedale e apre la stanza con un’espressione scioccata, poichè vi trova il padre (incazzato) di lei? Si gioca con lo spettatore, portandolo a presumere le cose più improbabili.
Stesso gioco di aspettative è sapientemente condotto dalla costruzione del montaggio parallelo, che infiamma la tensione attraverso un gioco di associazione di idee; due esempi tra tutti, la celeberrima sequenza del “coniglio”, in cui lo spettatore è condotto ad anticipare il suo improbabile e surreale esito; la straordinaria sequenza delle montagne russe, in cui la sensazione di accelerazione e caduta della giostra connota di un angosciante presagio la sequenza alternata, in cui la moglie Beth guida agitata, fino all’inevitabile incidente. Tale sequenza può essere vista, tra l’altro come una forma di metacinema: la montagna russa si pone a simbolo dell’intrattenimento e forse del masochismo a cui lo spettatore si sottopone, soprattutto nei 20 minuti a venire. Essa si pone quindi a ironico segnale di passaggio di un finale all’insegna del parossismo e delle tinte horror.
Il finale alternativo, da tragedia a puro horror
Il finale originariamente previsto per il film era di tutt’altra natura. Alex Forrest doveva cadere in una delle sue crisi autodistruttive e uccidersi tagliandosi la gola. Il tutto, usando con il suo solito machiavellismo lo stesso coltello che Dan, in occasione della loro antecedente lotta, aveva lasciato sul ripiano della cucina della donna, di modo che egli fosse poi arrestato. L’uomo sarebbe stato poi portato via dalla polizia, ma salvato da Beth, che avrebbe ritrovato una cassetta in cui Alex dice di volersi suicidare. Il finale, rende quindi in qualche modo pietà, se non giustizia, ai tormenti della donna, la quale è rappresentata come vittima dei propri disagi psichiatrici. Esso tuttavia non piacque al pubblico degli screening test e fu quindi rifatto.
Si decise di optare per la lotta e in qualche modo fortificazione della passiva moglie, la quale si fa portatrice di catartica speranza di superamento della crisi familiare. Un finale sicuramente più funzionale, in senso commerciale, ma che ha contribuito alla misinterpretazione della figura di Alex, la quale, lamenta la stessa attrice Glenn Close, non è un “villain” o un cliché, ma un essere umano fragile, affetto da uno specifico disturbo. Lo status della figura di Alex rimane tuttora ambiguo e discusso, attaccato dalla critica femminista per la sua rappresentazione mostruosa della single di città: una cosa è sicura, Glenn Close ha dichiarato che, a distanza di trent’anni, gli uomini le dicono che hanno ancora paura di lei. San Valentino al veleno, Capitolo quarto: “Attrazione fatale”.
Sara Livrieri
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