Cinema

San Valentino al veleno: “La guerra dei Roses”, di Danny DeVito

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San Valentino al veleno: La guerra dei Roses. L’omonimo romanzo di Warren Adler viene portato allo schermo da un perfido Danny DeVito (Matilda, Duplex), qui alla sua quarta regia. Michael Douglas e Kathleen Turner, duo romantico degli anni Ottanta avventurosi di All’inseguimento della pietra verde e Il gioiello del Nilo, si riunisce in questa nera divertente elogia del cinismo e della distruzione. Un sorprendente risultato al botteghino, che supera i buoni incassi dei due più commerciali sopracitati: erano altri tempi. Un registro estremamente grottesco, soffocante attraverso le contre-plongée e i primissimi piani. Una sinfonia della morte, che è respirata attraverso presagi, elementi di scenografia e atmosfere crepuscolari. Una triste e divertente storia, che ci viene raccontata dal DeVito narratore, avvocatello ripugnante ma in fondo morale; egli è testimone dell’assurdo, ma anche fatalmente prevedibile, degrado della coppia.

L’avvocato Gavin D’Amato riceve un cliente interessato ad un divorzio e decide di raccontargli una storia importante a tale riguardo. Si tratta del fallito matrimonio tra il suo collega e amico Oliver Rose, e la moglie Barbara; essi si sono uniti in seguito ad un romantico quanto impulsivo colpo di fulmine, diciotto anni prima. Barbara è una ginnasta fallita, mentre Oliver ha studiato ad Harvard ed è un brillante e carrierista avvocato. La coppia si sposa e ha due figli; riesce inoltre a mettere su una bellissima casa, la cui decorazione, con gli anni, è divenuta per la moglie uno scopo di vita; fine che le viene a mancare, una volta terminato “il lavoro”. Ella si emancipa, fondando un business di catering e si rende conto di non amare più il marito. Comincia così un belligerante divorzio, la cui lotta è catalizzata dal rifiuto dei due di lasciare la casa all’altro.

San Valentino al veleno, La guerra dei Roses, o sinfonia della morte

I Roses si incontrano durante una vendita all’asta, competendo agguerritamente per una statuina; la scena è un triste presagio della feroce contesa degli oggetti della casa, al momento del divorzio. Dietro all’apparente idillio, nota il narratore, si celavano già gli elementi della rovina. La sensuale Barbara, che compiace Oliver con i propri orgasmi multipli, è istintiva ed insicura; il futuro marito, invece, è artificiale, manierato e molto convinto di sé. Ciò è mostrato, anni dopo, nella cena con i padroni della compagnia di Oliver. Egli prova, invano, a valorizzare le doti sociali della moglie; le mette parole in bocca e la sostiene con false risate, per poi tagliare ed ucciderne il fallimentare racconto, umiliandola. Barbara è annichilita a muto e insicuro elemento della tavola. La sua posizione di casalinga l’ha deprivata, con gli anni, di uno scopo o identità. Ella è un oggetto, come gli altri, dell’inutilmente opulenta casa.

Ella è una statuina, come quelle che adornano la villa, statiche e pallide rappresentazioni umane che sono simbolo e presagio di morte; lanciate e schiantate dagli arrabbiati coniugi contro i muri; accumulate da Oliver intorno al proprio letto, in una spenta camera che sembra un cimitero. Altrettanto tetro e simbolico è il famoso lampadario, il cui cristallo brilla nel buio come un fantasma. Questo incombe fatalmente e pesantemente sull’ambiente, a simbolo della tragica sorte dei due, che saranno inoltre significativamente in esso intrappolati. In una casa in cui gli oggetti “vanno” a fuoco e si inceneriscono, l’idea del presagio di morte è inoltre affermata attraverso le vicende degli stessi protagonisti. Oliver ha un finto infarto e scrive il proprio biglietto di addio ad una moglie indifferente, distesa ed lugubramente annerita nell’ombra del letto; storia di un amore che è annullamento reciproco e trapasso.

La guerra dei Roses- Photo Credits: deenofgeek.com
La guerra dei Roses- Photo Credits: deenofgeek.com

Una coppia grottesca e vitale

E pensare che l’amore era esploso con un romantico colpo di fulmine nella bellissima e autunnale Nantucket. L’isola del Massachusetts era magicamente immersa in un decadente e, a ben vedere, mortifero autunno, che ritorna, insieme all’altrettanto nefasta neve, nella narrazione; mentre le caratteristiche di competizione per l’oggetto all’asta e performance sessuale di quel primo incontro si tradurranno, in un senso opposto ma complementare, nell’istintiva e sanguigna lotta dei coniugi, che è essenzialmente vitale. Annullamento e nutrimento, morte e vitacità, sono le due facce della stessa medaglia. Due estremi che sono portati al parossismo dalla regia di DeVito, il quale mostra i due amanti nelle due dinamiche di mortifera asfissia e vitale bestialità.

La sensazione di soffocamento e conseguente morte è trasmessa attraverso un uso estremo e grottesco della contre-plongée; la quale sottolinea l’arroganza dei personaggi, ma, soprattutto, tende a “schiacciarli” contro la parte superiore dell’inquadratura, come a sottolinearne l’arresto. La bestialità è invece evidenziata attraverso i primissimi piani allo sguardo e alla bocca, che sottolineano che la dimensione istintiva ha completamente preso controllo dei personaggi; è inoltre enfatizzata attraverso il motivo della sfida, qui simboleggiata da inquadrature in soggettiva, in cui il coniuge è osservato dallo sguardo predatore dell’altro. È infine echeggiata attraverso il motivo delle bestie: il cane e il gatto si fanno la guerra come i due sposi; i sanguinolenti paté di fegatini, specialità culinaria di Barbara, riportano alla dimensione dello smembramento e del sangue.

Una favola morale sull’amoralità degli uomini

La favola è raccontata da Danny DeVito, nella doppia veste di regista e personaggio testimone delle atrocità perpetuate dai due coniugi. E chi meglio di un avvocato divorzista, che ha visto le persone dare il peggio di sé?  Egli tenta di convertire il cliente alla buona azione e riportarlo al rispetto della moglie. Diventa quindi fautore di un messaggio di speranza che è espresso anche dall’evoluzione dello stesso suo personaggio. Lo troviamo agli inizi del matrimonio dei Roses mentre partecipa ad una loro cena. Si presenta in casa con una amante vichingona alta il doppio di lui, con cui si tocca volgarmente sotto il tavolo, notato da una perplessa Barbara. Essa proverà anni dopo a sedurlo con una tecnica simile, solo per farsi aiutare a distruggere il marito. Tuttavia Gavin rifiuta; in seguito “mette la testa a posto” e si sposa, attuando un iter narrativo completamente opposto a quello dei Roses.

DeVito avvocato vuole convincerci che una via d’uscita c’è. Egli parla direttamente di fronte alla telecamera, rivolgendosi allo spettatore. Ci si presenta anche in qualità di narratore omnisciente, come confermato dall’uso sistematico delle plogée, nei vari capitoli del racconto.  “A quindici anni sono diventato un evoluzionista e tutto mi è stato chiaro: veniamo dal fango e dopo 3.8 bilioni di evoluzione la nostra sostanza è ancora fango.” La vita non è tutta rose e fiori e non c’è rosa senza spine. San Valentino al veleno: capitolo terzo, La guerra dei Roses.

Sara Livrieri

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