Zack Snyder non è un buon regista – Parte 6: Sucker Punch

Sesto appuntamento con il cinema di Zack Snyder, oggi sul tavolo operatorio con il suo Sucker Punch.

Sucker Punch Snyder
Da sinistra a destra, JENA MALONE è Rocket, EMILY BROWNING è Babydoll e ABBIE CORNISH è Sweet Pea – Photo Credits: Warner Bros. e Legendary Pictures

Terzo film in tre anni, per il regista di Green Bay. Dopo Watchmen e Ga’Hoole, Zack Snyder torna in sala, nel 2011, con Sucker Punch. Un film d’azione ricco di ragazzine in abiti succinti, katane, armi da fuoco e balletti osé. Primo film di Snyder a non essere basato su materiale pre-esistente, Sucker Punch si rivela ben lungi dall’essere qualunque cosa il suo regista volesse realizzare.

Prigionia coercitiva

Emily Browning nel ruolo di Babydoll – Photo Credits: Warner Bros and Legendary Pictures

La protagonista, notaci solo con il soprannome di Babydoll (Emily Browning), è una giovane che, negli anni ’60, viene internata in un manicomio dal patrigno. Questi, infatti, avrebbe voluto per sé l’eredità della moglie, andata invece alle due figlie. All’interno dell’ospedale, la giovane vive cinque giorni d’inferno, prima di venire sottoposta ad una lobotomia. Durante l’operazione, però, ci ritroviamo catapultati in una bizzarra fantasia: invece di un manicomio, Babydoll vive in un bordello, dove con Sweet Pea (Abbie Cornish), Rocket (Jena Malone), Blondie (Vanessa Hudgens) e Amber (Jamie Chung) deve sfuggire alle grinfie del loro padrone Blue (Oscar Isaacs) e trovare un modo per scappare. Un modo che le sarà garantito attraverso viaggi mentali in varie fantasie, dove sarà guidata da un misterioso Saggio (Scott Glenn).

Se tutto questo vi appare totalmente assurdo e campato per aria, non state sbagliando. Varie ambientazioni, armi, scene, si mescolano senza motivo in un insensato mix di combattimenti all’arma bianca e sparatorie. Sembra un videogioco, e non solo per modo di dire: i vari ambienti ove si svolgono le fantasia di Babydoll sono chiaramente d’ispirazione. Basti pensare che la seconda fantasia vede la protagonista e le compagne farsi strada tra le trincee della Seconda Guerra Mondiale ad uccidere nazisti zombi. Se avete giocato a Wolfenstein e Resident Evil, saprete bene di cosa parlo.
Facile quindi farsi varie domande: perché Babydoll ha fantasie di questo genere, se è vissuta negli anni ’60? Che legame hanno con la storia principale? In qualche modo, l’uso di queste ambientazioni porta avanti qualche tematica del film?

Sul femminismo e altre storielle

Ovviamente, non c’è alcuna attinenza. C’è una scena in cui la dottoressa Gorski (Carla Gugino) afferma di praticare una terapia sperimentale in cui fa rivivere alle pazienti i loro traumi. In teoria, questo dovrebbe essere il legame tra il sognare ad occhi aperti di Babydoll e la trama del film. Anche però dando ciò per vero, che legame c’è con il vestirla con abiti da scolaretta giapponese, ad affrontare giganteschi samurai demoniaci, armata di pistole e katana, in un tempio del Giappone feudale?
Banalmente, il motivo è perché ciò è “figo”. Non c’è una ragione vera e propria: è perché ciò sembra figo, perché è qualcosa che al target di riferimento (adolescenti che giocano un po’ troppo ai videogiochi) è questo che piace. Per lo meno, secondo il regista.

Altro problema del film è il suo sedicente sentimento femminista. La tematica è evidente: le cinque ragazze e la dottoressa, nella fantasia di Babydoll, sono maltrattate e oppresse da Blue, una controllante presenza maschile. Non hanno nomi, ma soltanto soprannomi. Il loro desiderio di fuga e indipendenza costituirebbe una metafora della volontà delle donne di “liberarsi” dell’oppressione maschile. Purtroppo, però, non è così.
In questa situazione sarebbe facile incorrere in spoiler, ma basti sapere che in realtà il film va nella direzione opposta. Queste ragazze, per tutta la durata della pellicola, vengono sessualizzate e mostrate come fantasie per il pubblico maschile: persino quando devono affrontare un drago, Babydoll non si libera del suo vestitino da scolaretta. Inoltre, il finale stesso va contro quanto finora descritto e anche al discorso conclusivo sull’autodeterminazione del proprio destino.

La fantasia di un adolescente

Jamie Cheung nel ruolo di Amber – Photo credits: Warner Bros. and Legendary Pictures

Non c’è dubbio che Snyder si sia divertito come un ragazzino che crea un castello di sabbia: gli è stato dato tutto il materiale possibile per dar sfogo alla sua fantasia. Ha creato un film in cui è riuscito a mettere un assalto ad un castello, il combattimento con dei nazisti zombi e un bordello. Esteticamente, tutto ciò è anche entusiasmante, sia chiaro: seppur meno riusciti degli energici ed epici combattimenti di 300, o dei ben coreografati confronti di Watchmen, le scene d’azione di Sucker Punch sono ben fatte. Rallenty, esplosioni e zoom tattici creano scene che, almeno per il target di riferimento, funzionano. Senza dimenticarsi l’immancabile fotografia fredda di Larry Fong e, soprattutto, l’onnipresente colonna sonora, formata per lo più da cover di pezzi di musica leggera. In quest’occasione, più che da un Nolan o un Cameron, Snyder sembra in tutto e per tutto ispirato da Michael Bay.

Questo però non può salvare Sucker Punch dall’essere nulla più di una fantasia adolescenziale. Non c’è alcuna morale di fondo, non c’è alcuna tematica, non c’è nient’altro che azione e costumini succinti. Azione che è anche al di sotto dei soliti standard snyderiani, rendendo forse Sucker Punch il suo film peggiore. Bizzarramente, anche l’unico partorito del tutto dalla sua mente.

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