Stasera in tv: Il genio della truffa, (Matchstick Men) di Ridley Scott (2003). Storia di un truffatore ossessivo compulsivo, che, riconciliandosi con la figlia adolescente, esce dalla propria prigione mentale … In un modo non dissimile al bellissimo Prova a prendermi di Steven Spielberg, l’uso della luce, amplificato dalle vetrate, crea un’atmosfera glamour ed irreale; essa evoca quell’illusione che costituisce il pane quotidiano dell’impostore, di cui egli stesso è artefice e spesso vittima. Le iconiche tapparelle veneziane di Blade Runner, simboleggiano qui lo stato di imprigionamento ossessivo del protagonista nei propri pensieri. La musica jazz di Hans Zimmer contribuisce al tono di leggerezza, che contagia la quasi integrità di un film dai conflitti piacevolmente smussati, ma non per questo, meno toccanti. Irresistibilmente grazioso e occhio al twist.
Roy Waller (Nicolas Cage) è un ingegnoso truffatore di mezza età, che lavora in coppia con il giovane Frank Mercer (Sam Rockwell). Roy è affetto da sindrome di Tourette e disturbo ossessivo compulsivo, che gli provoca degli attacchi d’ansia paralizzante. Egli non ha famiglia e vive molto isolato, a causa della propria mania di controllo. In seguito al trasferimento del suo psichiatra, si rivolge ad un nuovo medico, indicatogli da Frank; il Dr. Harris Klein (Bruce Altman) scopre che Roy potrebbe avere una figlia adolescente. Lo psichiatra la trova e mette in contatto con il padre; Angela (Alison Lohman) adora il suo nuovo papà, il quale risente altrettanto positivamente di questo rapporto. Grazie a lei, infatti, Roy supera le proprie ansie ed è pronto per un nuovo colpo, in stile “truffa del piccione”, ma…
Stasera in tv: Il genio della truffa è vittima dell’ansia
Nonostante svolga un “mestiere” rischioso, Roy è completamente schiacciato dalle proprie ansie, essendo affetto da disturbo ossessivo compulsivo; egli ha la mania del controllo e dell’igiene; la sua vita è scandita da cibi rigorosamente inscatolati e rituali-compulsioni, che lo aiutano a tenere a bada gli stati di agitazione. Il suo stato problematico lo porta ad isolarsi ed alimenta quindi un fatale circolo vizioso, che lo rende ancora più ossessivo; finchè Roy è lasciato a sé stesso, egli non è in grado di abbandonare i pensieri disturbanti, che solo uno stile di vita “distratto” dalla presenza degli altri potrebbe invece eliminare. L’arrivo di Angela funziona quindi meglio di una medicina; se Roy da un lato è “mentalmente impegnato” a prendersi cura di un’altra persona, dall’altro deve anche dover essere in grado di flessibilizzarsi, per includere la caotica adolescente nella sua esistenza.
E se la “mania di controllo” è il segreto del suo successo, poichè la truffa è nella sua ultima essenza un calcolo di previsione e quantificazione dei rischi, essa è tuttavia una vera e propria prigione mentale. L’idea di ingabbiamento è messa in evidenza dalla regia, attraverso il motivo delle tapparelle veneziane, le cui ombre si proiettano, come le sbarre di una gabbia, sugli spazi di vita e lavoro del protagonista. Del resto, lo stile squadrato e asettico della sua casa, la dice lunga sul livello di vitalità della sua esistenza: emblematica su tutte, la collezione di statuette a forma di cane: alla compagnia dell’animale vero, troppo confusionario, si sostituisce un oggetto che ne evoca l’idea, senza regalarne la sostanza. Roy vive, insomma, una “vita di plastica”, una forma di sopravvivenza, che è surrogato di quella vera.
Un bagno di luce per un’immersione nell’irrealtà
La fotografia di John Mathieson (Il gladiatore, Il fantasma dell’opera), assorbe i toni di una Los Angeles estiva, spesso evidenziandone la luminosità, attraverso raggi di sole che colpiscono i visi dei personaggi, o che sono riflessi dalle vetrate; mentre gli ambienti, in particolare la casa di Roy, sono colorati nelle tonalità del verde e dell’oro. La luce è simbolo dello stato ingannatorio che è caratteristico della sua vita; non solo poiché, ovviamente, il suo stesso lavoro si basa sulla creazione di “miraggi”, l’offerta agli altri di occasioni da non perdere, che si riveleranno inesistenti; ma anche poiché Roy inganna prima di tutti sé stesso: egli pensa che la solitudine, in quanto alleata del controllo, lo aiuti ad essere felice, ma in realtà questa non fa che danneggiarlo.
All ‘idea di una luminosità che, per l’appunto, abbaglia, si allea il motivo degli occhiali da sole, evocatorio di cecità e inganno, ma anche più banalmente del sotterfugio. Quest’ultimo è anche segnalato dalla presenza di numerose riprese basse, incentrate solamente sui passi dei personaggi. Mostrandone la camminata dal solo punto di vista dei piedi, si evoca lo stile di vita di Roy; da una parte, inquadrando un’ azione senza renderne riconoscibile il suo autore, si richiama la fondamentale ingannevolezza del suo lavoro, nonché l’idea del movimento in sordina del ladro. Dall’altro, poiché le camminate sono sempre “contate” ed analizzate nelle loro tracce, si simboleggia il modo in cui egli cerca di procedere nella sua esistenza, “passo per passo”, nell’illusione di controllarla.
Una black comedy dai toni pacati
Il potenziale drammatico del film, dato dalla problematica condizione esistenziale di Roy, e, soprattutto, dal possibile conflitto con la figlia, non sono mai esacerbati. Complice una sceneggiatura ironica, che nulla toglie al contenuto emotivo della storia, ma nulla aggrava; complice, anche, la messa in scena, la cui patina glamour ed atmosfera solare distendono lo spettatore, per poi fregarlo con l’abbastanza inaspettato twist finale.
Ci facciamo quindi ingannare dal dispositivo visivo del film, e da quello musicale, affidato al celebre Hans Zimmer. L’uso del jazz si accompagna tradizionalmente al genere truffa, ma aiuta anche ad alleggerire il peso della malattia mentale, esibita dal protagonista; un lavoro simile a quello effettuato dal compositore nella colonna sonora dello splendido Qualcosa è cambiato, protagonista un Jack Nicholson , affetto anche esso da disturbo ossessivo compulsivo. Stasera in tv, Il genio della truffa, alle 21.20, su Rai 4.
Sara Livrieri
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