«Non sono un uccello; e non c’è rete che possa intrappolarmi: sono una creatura umana libera, con una libera volontà, che ora esercito lasciandovi.». A Charlotte Brontë è bastata una sola frase per far tremare secoli di luoghi comuni legati al ruolo della donna. A pronunciarla è Jane Eyre, protagonista dell’omonimo romanzo di formazione, capolavoro della scrittrice inglese. Un messaggio in apparenza ovvio, ma assolutamente rivoluzionario in un periodo storico in cui l’autoaffermazione della donna era ancora un miraggio.
Pubblicato nel 1847, in piena età vittoriana, il libro è l’opera prima di Charlotte, terza di sei figli e membro, insieme ad Anne (Agnes Grey) ed Emily (Wuthering Heights/ Cime Tempestose) , del trio più famoso della letteratura internazionale, le sorelle Brontë. Personaggio centrale della vicenda, la giovane Jane, orfana e introversa, cresciuta tra le angherie di una zia crudele e dei cugini dispettosi. Timida di natura, ma con un’indole curiosa e determinata, viene spedita alla Lowood School, collegio religioso dalle regole ferree. L’esperienza, nonostante la durissima disciplina, forgia il suo carattere e le permette dapprima di terminare gli studi e, in seguito, di diventare un’insegnante nella stessa struttura. Una volta diciottenne, abbandona la scuola e trova lavoro come istitutrice nella nobile dimora di Thornfield Hall, di proprietà della famiglia Rochester. Tra le mura dello storico palazzo, l’attendono misteri, avversità e, soprattutto, incontri che la cambieranno per sempre.
Charlotte Brontë: Jane Eyre, non la solita eroina romantica
L’autrice aveva dovuto piegarsi, suo malgrado, a una società retrograda, firmando il manoscritto con lo pseudonimo maschile Currer Bell; un nomignolo condiviso con Emily ed Anne, rispettivamente Ellis ed Acton, usato per aggirare i pregiudizi verso la scrittura femminile. Del tutto diverso il percorso dell’eroina nata dalla sua penna. Determinata, ribelle, pacifica ma ferma, l’inquieta fanciulla affronta ogni tipo di problema a testa alta, confidando solo nelle proprie forze, scavando la roccia con pazienza e costanza. Jane Eyre si distanzia da ogni cliché romantico, a partire dall’aspetto. A differenza delle sue “colleghe”, non è bella, e le sue carenze fisiche vengono più volte sottolineate nel corso della vicenda. Gracile, minuta e pallida, non può competere sul piano dell’avvenenza con la seducente Blanche Ingram, altezzosa rivale in amore.
A rendere diverse le due fanciulle, tuttavia, è la struttura morale. Blanche è graziosa, ma debole. Arrogante e civettuola, punta a un matrimonio di convenienza con Sir Edward Fairfax Rochester, mettendo di fatto il proprio destino nelle mani di un potenziale marito, oltretutto quasi sconosciuto. Al contrario, Jane, da sempre abituata a lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere, non confida in nessuno se non nelle sue capacità, e resta fedele ai principi che la sostengono. Anche se, a un primo sguardo, potrebbe apparire come una creatura fragile e mansueta, in lei il fuoco arde incessantemente.
Jane Eyre, anti-vittoriana per eccellenza
Jane rompe qualsiasi tipo di stereotipo, e lo fa con garbo, ma con risolutezza. Passionale e razionale al tempo stesso, tiene a bada le sue emozioni con un controllo quasi ossessivo, per poi lasciarle andare, ma solo a piccole dosi. Non dimentica le origini, e i dolori che hanno caratterizzato la sua infanzia, ma non si lascia sovrastare dai ricordi. Cerca l’indipendenza, soprattutto quella economica, reale e concreto lasciapassare per l’emancipazione. S’innamora di Rochester, ma non si concede a lui senza riserva alcuna; pondera, elargisce dolcezza, ma senza assoggettarsi al suo uomo. Quando, anzi, scopre le ombre del passato dell’imminente consorte, non esita a scappare, seppure con il cuore straziato, per ricominciare altrove, e non fa ritorno prima se non quando è certa di poter instaurare un rapporto paritario su tutti i fronti.
Tutto questo, ovviamente, la rende l’antitesi della moglie ideale, almeno per l’Inghilterra dell’Ottocento. L’austerità dell’epoca vittoriana esalta la figura dell’angelo del focolare, remissivo, dedito alla casa e immacolato. La donna non può votare, né ereditare o avere beni di proprietà, deve tenersi il più lontano possibile dalla vita pubblica e limitarsi a procreare, curare i figli e assicurare l’armonia domestica. Jane Eyre, con la sua istruzione, l’autonomia e il suo lavoro, é uno strappo netto rispetto alla regola.
Rochester e Jane, una storia d’amore sui generis
Anche la love story tra i due protagonisti, il tormentato Rochester e l’arguta “signorina Eyre”, elude gli schemi, sin dal primo incontro. È lei, infatti, a soccorrerlo, dopo una rovinosa caduta da cavallo, e continuerà a salvarlo per tutto il tempo della narrazione, fino all’atto finale. Edward è un perfetto eroe byroniano, con inconfessabili scheletri nell’armadio e grandi difficoltà nell’affrontarli. Sarà Jane, con la sua caparbietà, a risollevarlo dagli abissi del passato, per donargli una nuova occasione di felicità, senza però mai lasciarsi dominare da lui.
La giovinetta rifugge qualsiasi maschio tenti di domarla. dal preside di Lowood, Mr. Brocklehurst, al cugino Reed; dal reverendo St. John Rivers, che vorrebbe trasformarla in una missionaria, allo stesso Rochester. Siamo lontanissimi dalle fiabe in cui il principe azzurro corre ad aiutare la principessa in pericolo. Lei non è una damigella spaurita; cerca con ostinazione la chiave per essere totalmente padrona del proprio fato e la trova, non cedendo mai alla tentazione di delegare a un coniuge o a un qualsiasi uomo il compito di gestire il suo patrimonio o la sua esistenza.
Jane e Bertha Mason, due facce della stessa medaglia
Un temperamento antitetico, rispetto a quello della folle Bertha Mason, animalesca prima moglie di Rochester. A prima vista, le due non potrebbero dunque essere più differenti tra loro. Il trionfo della logica da una parte, la feroce sregolatezza dall’altra. L’autrice Jean Rhys, britannica, ma con origini caraibiche, ha però esaminato e scandagliato una figura solo in apparenza marginale nel suo romanzo postcoloniale Il grande mare dei Sargassi. Approfondendone lo studio, è apparso evidente quanto, in realtà, Miss Mason altri non sia che una versione esasperata della stessa Jane.
Iraconda, disinibita, vittima della sua stessa sessualità, esasperata e incompresa, Bertha è una presenza archetipa negativa, che funge da nemesi e, contemporaneamente, da alter ego della protagonista. Perversa e selvaggia, rappresenta quell’assenza di freni inibitori che il personaggio primario, invece, non si concede mai. La sua morigeratezza e i sentimenti tenuti sempre al guinzaglio si scontrano con l’incapacità di tenere a bada gli istinti primordiali. In un dualismo degno del dottor Jekyll e Mr. Hyde, la Mason è il lato più oscuro del personaggio primario, ma non si limita a questo; si fa carico della rabbia primordiale e inespressa di Jane, della Brontë e di un intero genere, oppresso da un regime patriarcale soffocante e ingiusto. Troppo semplice chiamarla pazza.
Charlotte Brontë: le similitudini con Jane Eyre
Le voci di Jane e di Charlotte, dopotutto, si sovrappongono sovente. Molto della storia personale della romanziera di Thornton si è riversata nelle pagine del suo racconto. Dagli anni in istituto, vissuti in compagnia delle sorelle maggiori e di Emily, all’occupazione come docente e governante presso numerose famiglie benestanti. Finzione e verità si intersecano, si completano e si arricchiscono l’un l’altra. I disegni astratti di Jane sono frutto della mente di Charlotte, e i pensieri di Charlotte risuonano grazie al cipiglio di Jane. Dove l’immaginazione si scontra con una realtà che combatte l’affrancamento femminile, subentra la fantasia, e dove l’estro creativo scarseggia, fatti di vita quotidiana donano concretezza all’idea.
«Le donne sentono come gli uomini e come loro hanno bisogno di esercitare le loro facoltà, hanno bisogno d’un campo per i loro sforzi. Soffrono esattamente come gli uomini d’essere costrette entro limiti angusti, di condurre un’esistenza troppo monotona e stagnante.». In un mondo fatto su misura per l’uomo, e nel quale la donna fatica a trovare spazio e riconoscimento, l’impegno di Charlotte Brontë nel creare un’alternativa ad Emma Bovary e a tutte le eroine letterarie figlie di un sistema a loro avverso, è più che encomiabile. Jane non è solo una suddita della Regina Vittoria, non è solo un’orfanella, non è solo una tata, non è solo una futura moglie, non è solo una probabile mamma. È inafferrabile, sovversiva e fiera, ma anche tenera, affettuosa e sorridente. Non riconosce autorità sopra di sé e si adopera affinché le vengano riconosciuti diritti e opinioni, e non si adeguo a un meccanismo mortificante e totalmente a vantaggio dell’altra metà del cielo. Jane Eyre è uno spirito che non accetta bavagli o catene, neanche dall’amore della sua vita. Jane Eyre è libera.
Federica Checchia
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