Canto XVIII del Paradiso: gli spiriti della croce, il cielo di Giove e l’invettiva contro la Chiesa

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

È il 13 aprile del 1300, il mercoledì dopo Pasqua e siamo ancora nel cielo di Marte, quinto cielo e secondo dei cieli superiori. Il Canto XVIII del Paradiso si apre con Cacciaguida, l’avo di Dante già incontrato nei tre canti precedenti. È un momento di silenzio. Mentre il beato “gode” della propria visione di Dio, il sommo poeta riflette sulla profezia d’esilio. Quest’ultima, già ascoltata nell’Inferno e nel Purgatorio gli è stata infatti confermata nel canto precedente. In quel momento il silenzio viene spezzato dalle dolci parole di Beatrice. L’amata invita Dante a pensare ad altro e afferma che Dio allevia ogni offesa subita.

In questa prima parte ritroviamo subito un tema centrale del Paradiso dantesco, la memoria. Alle parole di Beatrice il poeta chiarisce fin da subito che non gli è possibile ricordarne lo splendore degli occhi; non è solo per diffidenza verso le sue capacità espressive ma anche perché la memoria non glielo permette. Dante è talmente appagato da tale visione che ogni pensiero viene meno. È Beatrice stessa ad esortarlo quindi a voltarsi e ad ascoltare le parole di Cacciaguida. Ella afferma infatti che la beatitudine del Paradiso non risiede solo nei suoi occhi.

Canto XVIII del Paradiso, gli spiriti della croce

L'incontro tra Dante e Cacciaguida, Canto XVI del Paradiso (Illustrazione di Gustave Doré) - Photo Credits studiarapido.it
L’incontro tra Dante e Cacciaguida, Canto XVI del Paradiso (Illustrazione di Gustave Doré) – Photo Credits studiarapido.it

Nella prima parte del Canto XVIII del Paradiso Dante, voltandosi verso Cacciaguida, riesce subito a capire il desiderio dell’avo di parlargli ancor un poco dal brillar della sua anima. A questo punto il beato inizia ad illustrargli ad uno ad uno gli spiriti celebri della croce. Invitato quindi a guardare i bracci di quest’ultima, Dante vede gli spiriti muoversi all’unisono con la voce di Cacciaguida; in ordine troviamo Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d’Orange, Rinoardo, Goffredo di Buglione, Roberto il Guiscardo e Cacciaguida stesso.

Non è un caso trovare tutte queste figure proprio in questo cielo. Marte, come sappiamo, è il Dio della guerra e questi spiriti sono stati tutti eccellenti combattenti in nome della fede cristiana. Troviamo infatti chi ha preso parte alla conquista della Terrasanta, chi ha partecipato alle Crociate in sua difesa, e ancora, chi combatté contro i Saraceni in Spagna e in Italia. Conclusasi la presentazione di tutti questi famosi personaggi vi è il ritorno di Cacciaguida nella croce insieme alle altre figure, mostrandosi a Dante come eccellente cantore tra quelle illustri anime. Si chiude dunque la prima parte del canto e vi è l’ascesa al sesto cielo.

La seconda parte del canto: il cielo di Giove e la lettera M

Voltandosi verso Beatrice, Dante vede i suoi occhi più splendenti, e seguendo il movimento circolare dei cieli, si accorge che il raggio del cerchio è adesso aumentato. Ci troviamo ora nel cielo di Giove. Si apre quindi la seconda parte del canto. Vi è subito la descrizione del sesto cielo, il quale si presenta bianco e a clima temperato, perdendo, la luce, il rossore che essa possedeva nel cielo precedente. Dentro la stella di Giove, Dante vede le luci delle anime lì presenti (gli spiriti giusti) formare delle lettere. Viene quindi chiesto alle Muse da Dante stesso aiuto per decifrare le parole. I versi del poeta vengono infatti ritenuti dallo stesso insufficienti per la descrizione della frase creata dalle anime.

Vi è quindi la rivelazione della frase che, nella sua completezza, cita:

Diligite Iustitiam qui iudicatis terram

Fonte: Divina Commedia, Canto XVIII del Paradiso, vv 91-93

“Amate la giustizia, voi che giudicate il mondo”. È il primo verso del Libro della Sapienza di Salomone, un monito non troppo velato soprattutto contro la Chiesa e i suoi uomini. Le anime lucenti si fermano quindi sull’ultima lettera, la M. Qui iniziano a comporre dapprima un giglio e poco dopo un’aquila. La simbologia di questa parte del canto è particolarmente importante nella chiave di lettura del verso; mentre la M infatti rappresenterebbe la prima lettera della parola monarchia, l’aquila sta a simboleggiare l’impero romano e il suo legittimo successore, l’impero germanico.

L’invettiva contro la Chiesa

Per Dante la mancanza di una figura centrale di potere in Italia, che lui riconosce nell’imperatore tedesco, è fonte di disordine politico. La colpa della perdita dei valori fondamentali del mondo cristiano risiede invece nell’istituzione Chiesa; colpevole dell’ingiustizia del mondo e di aver abbandonato la via iniziata da San Pietro e San Paolo, che si sacrificarono per essa, è quest’ultima ora corrotta. Dante prega i beati di rivolgere lo sguardo alla Chiesa stessa e di pregare per i cristiani, fuorviati dal cattivo esempio del pontefice.

Il canto si chiude proprio un’apostrofe al papa, Giovanni XXII, colpevole di usare la scomunica a fini di lucro. Il poeta infatti scrive:

Ma tu che sol per cancellare scrivi

Fonte: Divina Commedia, Canto XVIII del Paradiso, vv 130

Senza curarsi dei santi sopra citati, iniziatori della Chiesa, il suo unico pensiero, scrive il poeta, è infatti rivolto unicamente a San Giovanni Battista, la cui effige si trova nei fiorini. Una critica dunque, non troppo velata, verso la cupidigia dell’istituzione.

Riccardo Malarby

Seguici su Google News