Pelle di porcellana, guance rosee, occhi chiari e fisico esile: è Mia Farrow, la bellezza eterea e febbrile delle passivo-aggressive del grande schermo.

Nata a Los Angeles il 9 febbraio 1945, con il nome di María de Lourdes Villiers Farrow, oggi la grande attrice cinematografica ed attivista statunitense Mia Farrow compie 78 anni, dopo aver maturato numerosi successi cinematografici al fianco di grandi registi.

Mia Farrow: una bellezza senza età

Mia Farrow in Rosemary's Baby (1968)-  Photo Credits: npr.org
Mia Farrow in Rosemary’s Baby (1968)- Photo Credits npr.org

Figlia d’arte del regista John Farrow e dell’attrice irlandese Maureen O’Sullivan, la Farrow diventa l’incarnazione di anime fragili, ma dotate di grande personalità. A contribuire all’essenza dei personaggi è il binomio dato dalla recitazione nervosa ed energica e il suo aspetto da eterna bambina, dovuto alla poliomelite che la colpì a soli nove anni.

Musa ed interprete per molti registi, Mia è riuscita a regalare alla storia del cinema, il ritratto autentico di una donna-bambina, attraverso gli occhi di Rosemary (Rosemary’s Baby, 1968), Daisy (The Great Gatsby, 1974), Sally (Radio days, 1987) e molte altre.

I ruoli iconici di Mia Farrow

Dopo aver recitato in piccoli ruoli, esordisce sul grande schermo nella serie tv “Playton Place” (1964-1966), nei panni di Allison MacKenzie. A soli 19 anni, vince il suo primo Golden Globe come Migliore Attrice Emergente per “Cannoni a Batasi” (1964) di John Guillermin.

Tuttavia, è “Rosemary’s Baby” (1968) il titolo che elegge la Farrow a livello internazionale, recitando nei panni della protagonista Rosemary, sotto la direzione di Roman Polanski. La sua bellezza nevrotica e la sua interpretazione le valgono numerosi premi, tra cui il David di Donatello e diverse candidature al Golden Globe.

Uno shock elettrizzante… uno dei rari esempi di congiunzione miracolosa e quasi mitica tra un attore e il suo personaggio. Se la storia di Ira Levin tocca abilmente la convinzione delle donne incinte che un estraneo cresca in loro, Mia Farrow dà a queste convinzioni coerenza e forza. (Stephen Faber)

In seguito, recitò in “Cerimonia segreta” (1968) di Joseph Losey, in cui la Farrow, Elizabeth Taylor e Robert Mitchum, si cimentano in un gioco di ruoli e potere, che mette a nudo il lato torbido e tormentato dell’essere umano.

Segue poi “John e Mary (1969) di Peter Yates, in coppia con Dustin Hoffman, che preparerà la Farrow ad altri importanti titoli degli anni Settanta: “Errore cieco“(1971) di Richard Fleischer, “Trappola per un lupo” (1972) di Claude Chabrol, “Detective privato… anche troppo” (1972) di Carol Reed, “Il Grande Gatsby” (1974) di Jack Clayton nella parte della giovane ingenua Daisy Buchanan.

Nel 1978, recita nel numeroso cast di “Un matrimonio” di Robert Altman, nei panni di Buffy Brenner, la sorella muta della sposa, che nasconde sotto un viso innocuo, un’intensa vita sessuale.

La musa di Woody

Gli anni Ottanta costituiranno un palcoscenico per la Farrow e per le sue personagge ipersensibili, ma iconiche, diventando una delle maggiori attrici del cinema mondiale, grazie al sodalizio professionale e sentimentale con Woody Allen, con il quale resterà insieme fino al 1992.

Nonostante i numerosi problemi nati dalla coppia, i due costituiranno un binomio perfetto nel mondo dell’arte: Mia diviene la musa e l’incarnazione dei personaggi di Woody.

Da questo rapporto nascono numerosi titoli: “Una commedia sexy in una notte di mezza estate” (1982), “Zelig” (1983), “Broadway Danny Rose” (1984), “La rosa purpurea del Cairo” (1985), “Hannah e le sue sorelle” (1986) e tratti iconici destinati a rimanere nella storia, come l’umorismo di Sally in “Radio Days” (1987), la malinconia di Lane in “Settembre” (1987) e le crisi nevrotiche e sentimentali di “Alice” (1990) e “Mariti e mogli” (1992), con il quale si conclude il loro rapporto artistico e sentimentale.

Gli ultimi film

Dopo la separazione dal marito, si sposta in Gran Bretagna per lavorare a “Tre vedove e un delitto” (1994) di John Irvin, per poi tornare negli Stati Uniti con “Promesse e compromessi” (1995) di David Frankel, “Arthur e il popolo dei Minimei” (2006) di Luc Besson, “Omen – Il presagio” (2006) di John Moore , “The Ex” (2006) e “Be Kind Rewind – Gli acchiappafilm” (2007) di Michel Gondry.

Martina Capitani

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