Gabriel García Márquez e il Realismo Magico, la vita e la morte in un ciclo senza fine

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Di Redazione Metropolitan

Gabriel García Márquez, scrittore sudamericano, detto Gabo, massimo esponente del cosiddetto “realismo magico”. I suoi libri gli sono valsi il Premio Nobel per la letteratura nel 1982. Tra i suoi romanzi certamente più noti ci sono “Cent’anni di solitudine” e “L’amore ai tempi del colera”.

Gabriel García Márquez, il giornalista che scriveva della gente

Gabriel García Márquez, nasce in Colombia, ad Aracataca, il 6 marzo del 1927. Cresce con i nonni materni che avevano osteggiato il matrimonio dei suoi genitori. Il giovane Márquez si fa strada nel mondo come giornalista. Prima con “El Universal” e “El Espectador”, poi con “Prensa Latina”, l’agenzia giornalistica di Fidel Castro. Nonostante questo, lo scrittore si è sempre dichiarato apertamente critico nei confronti delle dittature e delle violazioni dei diritti umani. Dopo il colpo di stato di Pinochet in Cile si rifiuta di scrivere narrativa per due anni e uno dei suoi testi più famosi, “Notizia di un sequestro”, del 1996, racconta la storia di dieci ostaggi rapiti dai narcotrafficanti di Pablo Escobar.

Gabriel García Márquez non è dunque uno scrittore con le mani nella politica. Amico di Fidel, frequenta l’uomo non il guerrigliero, evitando di immischiarsi negli affari della rivoluzione cubana. Nei suoi libri, parla della gente. Unisce passato, presente e futuro in modo del tutto straordinario. La sua intera bibliografia presenta fatti storici dalle evidenti connotazioni politiche, culturali e sociali che però confluiscono nella finzione e negli eventi soprannaturali. 

Il Realismo Magico e “Cent’anni di Solitudine”

Il “realismo magico” è una corrente artistica, pittorica e letteraria della prima metà del Novecento, che fonde un’immagine realistica della vita ordinaria con elementi fantastici.  Nella letteratura è un filone attribuito a determinate opere narrative in cui gli elementi magici appaiono in un contesto realistico. Ed è proprio in questa corrente che Márquez trova il modo di esprimere il suo genio, scrivendo di questi elementi con un ironico senso dell’umorismo e uno stile duro, schietto ed inconfondibile.  

Nel 1967 pubblica uno dei suoi capolavori indiscussi Cento anni di solitudine. Questo romanzo diventerà uno dei suoi lavori più noti. In una sola settimana, vendette più di 8000 copie, venne tradotto in venticinque lingue e ricevette diversi premi internazionali. È questo il libro che ha reso noto e comprensibile il “realismo magico”. Con la sua miscela di fantasia e crudezza, di miti e leggende colombiane che si mescolano con gli eventi storici del Paese. In tutto questo, il tempo si ripete, i nomi si ripetono, le vicende ed alcuni comportamenti intrisi nell’indole umana, si ripetono. Quando Cent’anni di solitudine fu pubblicato, lo scrittore disse ad un giornalista che non sapeva quale fosse la particolarità: “erano solo un mucchio di storie che gli erano state raccontate dalla nonna”.

Gabriel García Márquez, altri titoli

Nel 1955 pubblica il suo primo romanzoFoglie morte, ambientato a Macondo, città inventata che apparirà in altri suoi libri. Nel 1961 pubblica “Nessuno scrive al colonnello” e solo un anno dopo esce “La mala ora”. Dopo “Cent’anni di solitudine” pubblica “Racconto di un naufrago”, “Cronaca di una morte annunciata”, “Occhi di cane azzurro”, “Dell’amore e di altri demoni” e molti altri. Nel 1985, pubblica un altro dei suoi capolavori “L’amore ai tempi del colera”. Famosa opera ispirata alla storia d’amore dei genitori. 

La vita, la morte e lo scorrere del tempo

Alla riflessione sulla vita si accompagna la riflessione sullo scorrere del tempo, che altro non è che un ciclico ritorno dell’uguale. Anche la morte, costante presenza nei testi dell’autore, è il tema sul quale Márquez si sofferma più spesso. Nonostante la moltitudine dei suoi personaggi, e le vite che fanno, questi sono fondamentalmente tutti soli. Sono soli sia davanti alla morte ma anche davanti alla vita. I suoi personaggi riflettono continuamente sulla fine. Persino i fantasmi, abbandonati anch’essi, non vengono a tormentare i vivi, ma a parlare con loro per scacciare la solitudine come si fa con un vecchio amico.

In un’intervista del 1995, Márquez, che morirà molti anni dopo, il 17 aprile 2014, dice che gli piacerebbe osservare la vita oltre la morte. Per lui la morte è un’ingiustizia, la più grande. Forse per questo i fantasmi delle sue storie sono tristi. “Cosa possiamo fare per evitare la morte?” gli chiede la giornalista. “Scrivere molto” risponde lo scrittore sorridendo. Nonostante tutto, sarebbe un errore considerare lo scrittore un pessimista. Anzi. Nella sua lucida e fantasiosa visione della morte, si evince una voglia fortissima di non arrendersi alla fine. Qualsiasi essa sia.

“Di fronte all’oppressione, al saccheggio e all’abbandono, la nostra risposta è la vita. Né inondazioni né pestilenze, né carestie né cataclismi, nemmeno le guerre eterne attraverso i secoli e i secoli hanno potuto ridurre il tenace successo della vita sulla morte”.

Ilaria Festa

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