Perché il poeta T.S. Eliot scrive “Aprile è il mese più crudele”?

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Di Marta Tomassetti

Thomas Stearns Eliot concentra in un incipit ormai proverbiale la crudeltà del risveglio dal sonno. “Aprile è il mese più crudele” eppure “Genera lillà dalla terra sterile,/ Confonde memoria e desiderio,/ Risveglia radici torpide/ Con pioggia primaverile”. Se il primo verso dichiarasse, ad esempio, che “aprile è il più dolce dei mesi” allora i quattro versi seguenti ci racconterebbero tutt’altra storia: dalla terra sterile riescono a nascere i lillà, alla memoria si aggiunge il desiderio e le radici intorpidite vengono dolcemente risvegliate. Ma aprile è crudele e allora rinascere e desiderare in una terra sterile non ci racconta affatto di un’esperienza di dolcezza primaverile.

Il crudele mese di Aprile nel poema di T.S. Eliot

Eliot Aprile crudele

Ci troviamo nell’incipit – Aprile è il mese più crudele – del breve poema modernista The waste land (in Italia conosciuto con il titolo La terra desolata). Il poema è composto da 434 versi, cinque movimenti, The Burial of the Dead, A Game of Chess, The Fire Sermon, Death by Water e What the Thunder Said e fu ultimato tra il dicembre del 1921 e gennaio del 1922, durante la permanenza di Eliot a Losanna, dove era ricoverato per instabilità psichica.

È noto che l’opera fu rimaneggiata e ampiamente sfoltita dal poeta Ezra Pound, a cui Eliot aveva inviato un poema ben più lungo di quello che il pubblico conosce dall’ottobre del 1922. L’opera è complessa, frammentaria e addensa riferimenti metaletterari e simbolici.

Sentire fame in una terra deserta

L’ambivalenza umorale, tra la pulsazione vitale e speranzosa e la disillusione, colora l’intero poema e i suoi personaggi, ma si addensa con dolorosa efficacia nelle prime immagini dell’incipit. Il sipario si apre su una terra sterile, arida, in cui la pietra rossa non dà suono d’acqua. Ci si trova in un paesaggio interiore riconoscibile: il deserto invasivo della disillusione e della noia che non culla e non nutre la vita.

È il paesaggio della fatica del poeta, costretto ad animarsi dal risvegliato battito vitale del proprio sangue, senza però ricevere risposta alcuna dalla terra che lo circonda. A differenza della primavera, l’inverno aveva protetto e cullato i nostri sensi intorpidendoli in un letargico sonno: Ci tenne caldi il freddo inverno:/ Velato il suolo in oblio di neve,/ Nutriva un filo di vita con tuberi secchi. L’equilibrio uterino dell’inverno è infine rotto, perché aprile non ci protegge, aprile ci partorisce brutalmente alla vita e ci costringe a sentire le ragioni di una fame che dovremo cercare di soddisfare.

Dentro questi versi c’è l’impossibilità di produrre immagini che non siano aride e desolanti. La speranza spesso si nutre di immagini e proiezioni, ma la mente stanca non è in grado di produrre immagini che appaghino. Nella mente stanca il mondo è, in effetti, una terra desolata e ad aprile la voglia e il bisogno di vivere la costringono a confrontarsi con la propria impotenza e con la desolazione delle immagini che vestono il suo sguardo: Figlio dell’uomo,/ Tu, non puoi dire o pensare, perché tu sai solo/ Di un mucchio d’immagini rotte, dove batte il sole,/ Dove l’albero morto non ripara, il grillo non conforta,/ E la pietra riarsa non dà suono d’acqua.

Marta Tomassetti

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