Bob Dylan: dieci canzoni per riscoprire il menestrello del folk-rock

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Di Federica Checchia

Elston Gunnn, Blind Boy Grunt, Lucky Wilbury/Boo Wilbury, Elmer Johnson, Sergei Petrov, Jack Frost, Jack Fate, Willow Scarlet, Robert Milkwood Thomas, Tedham Porterhouse. Tanti pseudonimi, eppure troppo pochi per contenere la personalità caleidoscopica di Robert Allen Zimmerman, conosciuto dal mondo intero come Bob Dylan. Nato il 24 maggio del 1941 a Duluth, città del Minnesota, in una famiglia ebrea che racchiude in sé una moltitudine di origini, da quella turca a quella ucraina, a quella lituana. Ed è forse proprio questa interculturalità a influenzare i gusti e, successivamente, lo stile del cantautore.

Cresciuto ascoltando le stazioni radio che trasmettevano blues, country e rock and roll, si interessa in seguito al folk. Inizia a suonare in qualche piccolo club del campus universitario da lui frequentato, facendosi chiamare già con il suo nome d’arte ma, una volta abbandonato il college, dopo appena un anno, si dedica a tempo pieno alla sua più grande passione. Il resto è storia. Quaranta album in studio, diciassette dal vivo, ventitré raccolte; ingabbiarlo nel ruolo di chansonnier è però riduttivo. Dylan è un poeta, uno scrittore, uno scultore, un conduttore radiofonico e un pittore. L’Arte, in ogni sua forma, è nelle sue vene, e lui non si sottrae ad essa. Di certo, però, la musica resta la sua maggiore forma d’espressione. Per questo motivo, il modo migliore per celebrare il suo compleanno non può che essere attraverso le sue canzoni, pietre miliari che hanno segnato diverse epoche, mantenendo intatta la loro efficacia.

Blowin’ In The Wind

Bob Dylan: dieci canzoni per riscoprire il menestrello del folk-rock
Bob Dylan, 83 anni oggi

Banale, forse, ma è impossibile non citarla. Scritta nel 1962 e pubblicata l’anno successivo nel disco The Freewheelin’ Bob Dylan, è considerata un vero e proprio inno pacifista, adottato dai giovani americani degli anni Sessanta come manifesto di una generazione disillusa dalla classe politica del periodo, le cui scelte avevano condotto alla Guerra del Vietnam. La struttura del pezzo è semplicissima: tre strofe, che s’interrogano sulla società e sulla condizione umana di non riuscire a ripudiare con convinzione ogni tipo di conflitto. A separarle, un ritornello ripetuto, che offre uno spiraglio di speranza: la risposta c’è, e soffia nel vento.

Make You Feel My Love

In molti conoscono la cover di Adele, ma il brano è originariamente di Bob Dylan. Nel 1998 ha ricevuto il premio Performance Activity nella categoria dedicata ai singoli adult contemporary. La delicata dedica d’amore è stata omaggiata dalla cantautrice londinese, che l’ha trasformata in una grande hit commerciale e, prima di lei, da Billy Joel e Garth Brooks.

The Times They Are a-Changin’

Tratta dall’omonimo album del 1964, The Times They Are a-Changin’ è l’archetipo della canzone di protesta. Come confermato dallo stesso Dylan, è ispirata alle lotte per i diritti civili che hanno caratterizzato quel decennio. Le sue sonorità richiamano generosamente le ballads scozzesi e irlandesi, rendendola internazionale. Una valvola di sfogo collettiva per un mondo scosso da grandi eventi, come l’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, avvenuto appena un mese dopo l’incisione del brano. Il suo successo è giunto fino ai giorni nostri, grazie anche alla sua importanza nella cultura di massa. Nel 1984, ad esempio, un giovane Steve Jobs se ne servì per presentare un oggetto rivoluzionario, il Macintosh.

All Along the Watchtower

Scritta nel 1967, è il pezzo più suonato dal vivo da Bob Dylan: ben 2270 esecuzioni. La surreale conversazione tra un giullare e un ladro è divenuta famosa anche grazie a Jimi Hendrix, che ne ha registrato una rielaborazione psichedelica e originale, forse più celebre dell’originale. Anche gli U2, negli anni Ottanta, si cimentarono in una cover, che si colloca a metà tra la versione del menestrello e quella del chitarrista.

Like a Rolling Stone

Sei minuti sono sufficienti per trasformare un folkwriter in una rockstar? A quanto pare sì, con buona pace dei detrattori. Like a Rolling Stone parla della caduta in disgrazia di una “miss solitudine”, scivolata giù dopo una vita in alta società. Al tempo stesso, però, è un’auto-liberazione compiuta da Dylan, che smette temporaneamente i panni di profeta infilatigli a forza dai suoi fans, e abbandona la chitarra acustica in favore di una strumentazione elettrica. Un vero e proprio tradimento nei confronti del suo sound classico, ma che si è rivelato una scelta vincente. Nel 2004, la rivista statunitense Rolling Stone lo ha classificato al 1º posto nella lista dei 500 migliori brani di tutti i tempi, e ha mantenuto il primato fino al 2021, quando è stato scalzato da Respect di Aretha Franklin.

Knockin’ on Heaven’s Door

Altro grande classico, è estratto dalla colonna sonora del film Pat Garrett e Billy Kid. Nella pellicola, la canzone fa la sua comparsa alla morte di Slim Pickens davanti a sua moglie, che mostra tutto il suo dolore. Una scena dura e struggente, acuita dalle note di Dylan. Il testo è legato alla vicenda narrata dal lungometraggio: due grandi amici che prendono strade diverse, con tragici risvolti. Nel corso del tempo, molti artisti hanno eseguito una cover di Knockin’ on Heaven’s Door, primi fra tutti i Guns N’ Roses.

Tangled Up in Blue

Inclusa nell’album Blood on the Tracks, che vede, come tema principale, la fine del matrimonio di Dylan con la prima moglie Sara, la ballata folk-rock è la cronaca di un amore, dall’incontro fatale al momento dell’addio. Complessa e multidimensionale, è una canzone dal testo a tratti indecifrabile e ambiguo, e ha dato grattacapi allo stesso autore, che l’ha riscritta dieci volte, prima di arrivare alla versione finale.

Hurricane

Scritta a quattro mani con Jacques Levy, è la traccia di apertura di Desire, di cui è la più conosciuta. Il singolo è suddiviso sulle due facce del 45 giri, con i titoli Hurricane (Part I) e Hurricane (Part II). Si tratta di una vera e propria denuncia; parla, infatti, del pugile Rubin “Hurricane” Carter, condannato ingiustamente per un triplice omicidio causato da una sparatoria nel New Jersey. Venne scarcerato solo nel 1985, quando il giudice della Corte Federale Haddon Lee Sarokin sentenziò che l’accusa fosse “basata su motivazioni razziali”. Nel 1988 tutte le accuse caddero in via definitiva.

Forever Young

Incisa in due versioni, una più veloce e una più lenta, Forever Young è stata al centro di una diatriba con Rod Stewart. Nel 1988 il cantante britannico pubblicò una canzone omonima, molto simile a quella di Bob Dylan, sia per quanto riguarda la melodia, che nei versi. Dopo una battaglia legale, Stewart ha accettato di dividere le royalties con il musicista americano.

Murder Most Foul

Sedici minuti e cinquantasei secondi. Il brano più lungo della carriera del poeta è un regalo pensato per i suoi sostenitori, per ringraziarli del sostegno e della lealtà dimostrata nel corso dei decenni. Il tema non è dei più leggeri, si racconta l’assassinio di Kennedy, nel più ampio contesto della storia americana. L’uscita del pezzo, tuttavia, il 27 marzo 2020, mentre il mondo intero era in lockdown, fa pensare a un contenuto nascosto, un’analisi “alla Bob Dylan” del singolare e spaventoso periodo della pandemia.

Premio Pulitzer e poi Nobel per la Letteratura, Commendatore dell’Ordine delle arti e delle lettere, Cavaliere della Legione d’Onore. Vincitore di Grammy Awards, BAFTA e un Premio Oscar. Non basterebbe una vita intera per scandagliare a fondo tutte quelle vissute da Bob Dylan, lo schivo artista dalla testa riccioluta e dalla penna infallibile. L’unica cosa da fare è aspettare la sua prossima mossa, cercando di tenere il passo con il suo multiforme talento, e con la certezza che il menestrello, schivo e introverso, ma eccezionalmente comunicativo, saprà trovare sempre nel vento le risposte giuste, e ce ne farà dono.

Federica Checchia

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